La nozione di ordinamento giuridico

 

Si chiama ordinamento giuridico un gruppo di soggetti dotati di un’organizzazione e regolato da norme.La nozione di ordinamento giuridico

 

Si chiama ordinamento giuridico un gruppo di soggetti dotati di un’organizzazione e regolato da norme.

Sono ordinamenti giuridici: lo Stato, i sindacati, i partiti, l’ordinamento sportivo, quello religioso ecc. Mentre, però, alcuni ordinamenti sono molto sviluppati, altri lo sono meno.

Lo Stato è .oggi, l’ordinamento giuridico più sviluppato. Esso è composto di molti soggetti (tra i quali vi sono, in particolare, i cittadini); ha un’organizzazione imponente (chiamata amministrazione pubblica) ed è soggetto a un sistema molto complesso di norme (tra cui, principalmente, le leggi).

Se, dunque, esso è l’ordinamento giuridico più complesso, questo non vuoi dire che tutto il diritto promana dallo Stato. Vi sono anche altri ordinamenti giuridici, meno sviluppati, ma non meno importanti. I due esempi più rilevanti sono quelli costituiti dall’ordinamento

internazionale e dall’ordinamento sindacale, l’uno più ampio, l’altro più ristretto dello Stato.

L’ordinamento internazionale si è andato sviluppando specialmente in questo secolo. Ne fanno parte come soggetti, in particolare, gli Stati (che, pur essendo ordinamenti a loro volta, entrano, così, a far parte di un ordinamento giuridico più ampio). Sono, poi, numerose le organizzazioni internazionali come, ad esempio, l’Organizzazione delle nazioni unite (ONU). E ampio è il numero delle norme che regolano l’azione dei soggetti internazionali.

L’ordinamento sindacale si è sviluppato, in Italia, dopo la seconda guerra mondiale. Ne fanno parte, come soggetti, i lavoratori, i datori di lavoro e i sindacati (questi ultimi sono associazioni non riconosciute). I sindacati hanno proprie organizzazioni e stipulano “contratti” che si applicano, come norme, ai lavoratori e agli imprenditori, per definirne diritti e doveri reciproci.


Gli elementi degli ordinamenti giuridici

 

Dalla definizione di ordinamento giuridico si è compreso che tre sono gli elementi indispensabili dell’ordinamento:

—                  pluralità di soggetti;

—                  sistema di norme;

—                  organizzazione.


Organizzazione Attiene al modo in cui le funzioni sono ripartite ed esercitate all’interno dell’ordinamento. Per lungo tempo l’organizzazione è stata considerata un aspetto secondario, essendo diffusa l’opinione che essa non interessasse la scienza del diritto e che non fosse elemento costitutivo degli ordinamenti giuridici.

Ridotta al suo nucleo essenziale, l’organizzazione è un disegno permanente1 che prevede l’esistenza e il funzionamento di organi, di enti e di uffici. Di questi sono disciplinate, all’interno del disegno organizzativo, la competenza e l’attività.



I rapporti tra gli ordinamenti giuridici

 

Gli ordinamenti giuridici, pur essendo diversi l’uno dall’altro, non sono posti, tra loro, nella stessa posizione. Mentre alcuni sono equiordinati, altri sono, invece, subordinati.

I primi, cioè, sono tra loro separati, i secondi invece sono collegati, nel senso che uno di essi deve rispettare almeno alcune regole fondamentali dell’altro. Ad esempio, i rapporti degli ordinamenti statali tra di loro sono, di regola, di equiordinazione; ciascuno Stato è indipendente dall’altro e ne riconosce, a condizioni di reciprocità, alcune regole.

Invece, il rapporto tra l’ordinamento sindacale e quello statale è di subordinazione.

Proprio perché l’ordinamento giuridico è più sviluppato e complesso, lo Stato è, di solito, oggi, l’ordinamento che prevale sugli altri. Esso  si dice  non ha un ordinamento superiore, è sovrano. In realtà come vedremo meglio più avanti questo è stato vero per alcuni secoli, da quando è nato lo Stato moderno (Cinquecento - Seicento) alla metà del nostro secolo. Oggi, la situazione va cambiando, perché l’ordinamento statale cede, da una parte, funzioni e poteri a quello internazionale e riconosce, dall’altra, nel suo ambito territoriale, ordinamenti e gruppi portatori di interessi sociali (come i sindacati).

 

Le fonti del diritto

 

Per fonte del diritto si intendono gli atti di produzione normativa, e cioè quegli atti che pongono proposizioni giuridiche.

Le fonti si classificano, secondo una scala gerarchica, in:

—                  costituzionali;

—                  primarie;

—                  subprimarie;

—                  secondarie.

La scala gerarchica è strettamente vincolante, per cui, in primo luogo, una norma posta su un livello non può essere modificata se non da una norma dello stesso livello (o di livello superiore); e, in secondo luogo, le norme del livello inferiore debbono conformarsi a quelle del livello superiore.

Le fonti costituzionali sono di due tipi:

—                  principi istituzionali fondamentali e non modificabili. Ad esempio, quello sancito nell’ultimo articolo della Costituzione (art. 139), per cui «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». La trasformazione della Repubblica in Monarchia comporterebbe una modificazione così profonda da costituire un rivolgimento costituzionale;

—                  la Costituzione, entrata in vigore il Io gennaio i 948 e le leggi costituzionali (art. 138 Cost.). La Costituzione e le leggi costituzionali sono leggi, ma hanno una particolare forza, che deriva loro dalla speciale procedura di approvazione e di modificazione (doppia deliberazione in ciascun ramo del Parlamento, di cui la seconda a maggioranza as­soluta dei componenti) e dal controllo della Corte costituzionale (che assicura la conformità delle leggi ordinarie alla Costituzione e alle leggi costituzionali). Per questi motivi, la Costituzione viene detta rigida, mentre lo Statuto albertino, che poteva essere modificato con legge ordinaria, era una costituzione flessibile.

 

Le fonti comunitarie

 

Nella gerarchia delle fonti, si sono inserite le fonti comunitarie. Queste hanno acquisito preminenza nei confronti del diritto interno. L’unico loro limite è quello del rispetto dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo.

A queste conclusioni la Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia europea sono pervenute dopo una lunga evoluzione.


La divisione dei poteri: nozione e origine storica

 

La divisione dei poteri può essere formulata in modo molto semplice. Negli Stati moderni, si realizza una sorta di divisione dei compiti fra tre apparati:

—                                                                                               le assemblee legislative, che adottano i precetti generali e astratti (norme);

—                                                                                               l’apparato esecutivo, che esegue e attua la politica statale;

—                                                                                             il potere giudiziario, che giudica le controversie tra cittadini.

 

 

Questa teoria ha origine storiche ben precise e risale nella sua for­mulazione a Montesquieu (1748). Quest’autore notò, nel Settecento, che in alcuni Stati, e specialmente in Inghilterra, alla Corona e alla nobiltà, tradizionali detentori del potere governativo (che fu poi defi­nito esecutivo), si afliancava un Parlamento, composto dai rappresen­tanti della borghesia, che controllava l’azione del potere governativo specialmente mediante lo strumento dell’approvazione dei bilanci che fornivano i mezzi per l’attività della Corona. E si affiancava inoltre la giurisdizione, formata in gran parte con uomini che provenivano an­ch’essi dalla borghesia e sottratta agli interventi sia del potere legisla­tivo, sia del potere governativo. All’origine, dunque, la divisione dei poteri era una sorta di divisione dei compiti fra strati sociali, oltre che tra organismi pubblici.

 

In tempi successivi la divisione dei poteri diventa una cosa diversa:

è solo un principio di distribuzione delle funzioni tra gli organi (o gli apparati).La divisione dei poteri è un criterio di organizzazione dello Stato. Tuttavia essa non ha più un valore assoluto, ma relativo e tendenziale.

Caratteristiche della divisione dei poteri, oggi sono:

— la divisione tendenziale dei compiti tra gli organi di vertice;

— il reciproco bilanciamento e controllo tra tali organi.

La funzione di indirizzo politico

 

La funzione di indirizzo politico. La formulazione tradizionale della divisione dei poteri lascia fuori quest’altro settore importante dell’attività statale.

L’importanza: è il programma di governo che elenca le leggi e gli altri provvedimenti che il governo intende prendere. e vi sono altre attività che non possono essere classificate in nessuno dei tre tradizionali poteri, ma che ne rappresentano l’antecedente e li sovrastano.

Democrazia diretta e democrazia indiretta (o delegata)

Come s’è detto per il principio della divisione dei poteri, anche per la contrapposizione Stato-società civile deve aggiungersi che questa non è scomparsa, si è solo andata attenuando. Infatti, non solo rimangono settori nei quali il potere pubblico agisce necessariamente come autorità (ad esempio, l’ordine pubblico), ma anche là dove es­so agisce come erogatore di beni o servizi a favore di privati si creano talvolta nuove forme di autorità.

Un modo per diminuire il distacco che si crea tra Stato e cittadi­ni è costituito dagli strumenti di democrazia indiretta: in primo luogo, dall’elezione dei titolari degli organi principali dello Stato. Gli ordinamenti moderni (e così anche quello italiano) circondano le elezioni di una serie di minute garanzie (le vedremo, in particolare, quando si parlerà del corpo elettorale e del sistema elettorale), per assicurare che esse svolgano il compito di unione tra Stato e società.

Più difficile è la democrazia diretta, che non opera tramite altre persone (gli eletti), ma consente alla stessa società civile di prendere

le decisioni che la riguardano. Questa, però, può realizzarsi in ordinamenti ristretti (ad esempio, in Svizzera), mentre incontra difficoltà notevoli in ordinamenti con decine di milioni di cittadini. Vedremo però che, pur con molte cautele, nel nostro ordinamento è stato introdotto, dalla Costituzione, il referendum o deliberazione popolare diretta.


Le forme di Stato: evoluzione storica dei tipi di Stato

 

Esaminata la nozione di Stato e le sue varie componenti, passiamo ora ad analizzarne le varie specie. Gli Stati possono essere più o meno accentrati, più o meno democratici, più o meno autoritari ecc. Le diversità sono molte, perché l’assetto degli Stati dipende dalla classe dirigente, dalle tradizioni, dalle condizioni economiche del Paese, dai vincoli internazionali ecc. Per ragioni di comodo, tuttavia, gli studiosi hanno isolato alcuni elementi caratteristici, costruito alcuni tipi ideali e confrontato gli Stati con tali tipi. È in tal modo che sono classificate le forme di Stato. È bene avvertire, tuttavia, che i tipi o forme di Stato sono modelli ideali, ai quali gli Stati realmente esistenti si avvicinano, senza però identificarsi completamente con essi.

Le principali forme di Stato attuali

 

Le principali forme di Stato attuali sono:

a) in relazione all’equilibrio e alla distribuzione dei poteri pubblici sul territorio, unitarie, federali e regionali;

b) in relazione ai rapporti tra società e Stato, democratiche e autoritarie;

c) in relazione all’assetto dei rapporti economici, capitalistiche e socialiste.

Gli Stati unitari (di cui il principale esempio è stato a lungo la Francia; peraltro, in questo Paese sono state recentemente introdotte 22 Regioni) sono caratterizzati da un apparato amministrativo centra­le e periferico dipendente, in larghissima parte, dal governo centrale, posto nella capitale. Gli Stati federali, invece, sono costituiti da Stati membri (o Stati federati) e da uno Stato federale. Gli Stati membri mantengono la loro supremazia nel proprio ambito (cosiddetta sovra­nità interna). Solo lo Stato federale, però, agisce all’esterno per la difesa e i rapporti internazionali (cosiddetta sovranità esterna). Sono Stato federale gli Stati Uniti d’America (USA). Gli Stati regionali costi­tuiscono una forma intermedia: il potere è distribuito, all’interno, tra enti detti Regioni, con organi elettivi e autonomi; al centro, però, vi è uno Stato con poteri di indirizzo e coordinamento, che si riserva la maggior parte delle funzioni pubbliche. L’Italia ha, a partire dal 1970, una struttura regionale.

Occorre avvertire che le differenze tra i due tipi esposti si sono andate molto attenuando, nei fatti. Ad esempio, negli Stati Uniti il governo federale ha propri uffici nel territorio degli Stati membri, in­vadendo, quindi, la cosiddetta sovranità interna di questi. Gli Stati unitari, a loro volta, riconoscono e garantiscono forme di autonomia subregionale, come quella dei Comuni e delle Province.

Gli Stati democratici sono caratterizzati dalla composizione rappre­sentativa degli organi deliberativi (il Parlamento) e, quindi, dalla so­vranità popolare. Peraltro, vi sono Stati che, pur ammettendo l’eletti­vità del Parlamento, non consentono a tutte le persone fisiche al di sopra di una certa età di partecipare alle votazioni (cosiddetto suffra­gio limitato o ristretto). L’elezione popolare del Parlamento, però, non basta. Occorrono anche altri elementi per caratterizzare uno Sta­to come democratico: libertà di formazione e di iscrizione ai partiti, libertà di stampa, libertà di manifestazione del pensiero ecc. Gli Stati non democratici si definiscono autoritari. Di solito, gli Stati autoritari sono retti da una persona o da un gruppo di persone non elette (dit­tatore, giunta militare ecc.), che controllano il potere esecutivo e la­sciano scarsa o nessuna libertà.

Gli Stati democratici (più di quelli autoritari) presentano molte varianti. Tra gli Stati democratici vanno segnalate, in particolare, le democrazie pluraliste. Queste integrano il rapporto governanti-gover­nati, stabilito con le elezioni, con un sistema di poteri contrapposti (detti anche controlli e contrappesi o contropoteri). Essi servono ad arricchire la democrazia, ma anche a temperarla, perché anche una maggioranza democraticamente eletta può trasformarsi in una dittatu­ra elettiva.

Gli ultimi tipi di Stato sono quelli capitalistico e socialista. Si defniscono capitalistici gli Stati caratterizzati dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e, in particolare, delle imprese. Peraltro, in mol­ti Stati capitalistici, come quello italiano, accanto a un settore econo­mico privato, vi è un più o meno esteso settore economico pubblico, costituito da imprese nazionalizzate, da società con partecipazione statale, da imprese municipalizzate. Negli Stati socialisti, l’economia è quasi interamente controllata dallo Stato. Questo è proprietario, di regola, di terreni, impianti ed edifici, gestisce direttamente le impre­se; programma, dal centro, con piani quinquennali, le attività econo­miche. Anche negli Stati socialisti, peraltro, vi sono, sia pur in ambiti molto limitati, diritti economici dei privati. Ad esempio, questi pos­sono essere proprietari, a titolo individuale, di un’abitazione e posso­no avere, a titolo individuale o collettivo (e cioè insieme con altri), terreni produttivi a uso agricolo.

Peraltro, anche la contrapposizione tra Stati capitalistici e Stati socialisti si va attenuando. Non solo come s e detto nei primi vi sono proprietà e imprese pubbliche ma, in essi, si sono diffusi stru­menti pubblici di controllo e direzione di attività private. Basti ricor­dare che, negli Stati capitalistici, organi pubblici centrali stabiliscono programmi per l’economia, guidano e controllano il credito, fissano d’autorità. il prezzo di alcuni beni, controllano l’edificazione dei suoli ecc.

La contrapposizione tra Stati capitalistici e Stati socialisti, inoltre, ha perduto l’interesse che aveva con la dissoluzione della Unione del­le Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e l’introduzione in Russia dell’economia di mercato.


Le Caratteristiche dello Stato italiano

 

Viste le nozioni e i cosiddetti elementi costitutivi dello Stato, nonché i   diversi tipi di Stati, esaminiamo le caratteristiche dello Stato italiano o come si dice di solito la forma di Stato vigente oggi in Italia. Lo Stato italiano è:

repubblicano. Ciò vuol dire che capo dello Stato è una persona eletta periodicamente e non un membro di una famiglia (detta casa regnante o casa reale). Come si è visto, la Costituzione, nell’ultimo articolo, dispone che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»;

democratico. L’art. i della Costituzione dice: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». È democratico un ordina­mento governato dal popolo. A esso sono attribuiti diritti (di voto, ad esempio) e libertà (di manifestazione del pensiero, ad esempio). L’opposto di uno Stato democratico è lo Stato autoritario, quale si ebbe, in Italia, durante il periodo fascista: lo Stato autoritario limita le libertà, toglie la sovranità al popolo e rafforza l’autoritarismo dei poteri pubblici;

regionale. È tale perché, oltre allo Stato centrale, vi sono in periferia venti Regioni, che sono, come lo Stato, enti pubblici, governati da corpi elettivi, con potere legislativo;

pluralista. E tale perché la Costituzione, con l’art. 2, fa carico alla Repubblica di garantire «le formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’uomo». In passato, nelle Costituzioni erano considerati solo gli individui, ai quali soltanto si garantivano diritti nei confronti dello Stato (cosiddetto individualismo). La Costituzione italiana garantisce anche i gruppi e le formazioni sociali.

Quest’ultima caratteristica (pluralismo sociale) è accentuata grazie al pluralismo politico (indipendenza dell’ordine giudiziario; esistenza di un giudice delle leggi la Corte costituzionale —; esistenza di poteri indipendenti ecc.). Grazie al pluralismo politico, l’attività pubblica non è tutta attratta nella sfera di influenza del governo.

 

Stato e ordinamento internazionale

 

La Costituzione (art. II) prevede che l’Italia:

        consenta, a condizioni di parità con altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giusti­zia tra le nazioni;

        promuova e favorisca le organizzazioni internazionali rivolte ad as­sicurare la pace e la giustizia tra le nazioni.

È su questa base che lo Stato italiano stringe accordi con altri Stati e dà vita a organizzazioni internazionali.

Le organizzazioni europee

 

Numerosi accordi stipulati tra i Paesi europei hanno dato vita a una serie di organismi, alcuni dei quali di importanza considerevole.

Il più vecchio tra questi organismi è il Consiglio d’Europa, che ha il fine di promuovere l’unità politica europea. Il Consiglio risale al 1949 e va segnalato per l’attività svolta in due settori:

— nel campo del coordinamento di alcune parti della legislazione dei Paesi membri, attraverso l’elaborazione dei trattati internazionali (ad esempio, in materia di estradizione), trattati che, tuttavia, non tutti gli Stati hanno ratificato;

— nel campo della protezione dei diritti dell’uomo.

L’Unione europea

 

Il    Trattato di Maastricht configura l’Unione in modo molto comples­so. Esso sovrappone alle Comunità europee un ‘Unione politica. Que­sta si occupa di politica estera, sicurezza comune, giustizia, affari esterni. Le Comunità, invece, si occupano di economia.

La Convenzione europea, i cui lavori hanno preso inizio sotto la presidenza di Valéry Giscard D’Estaing il 28 febbraio 2002, si componeva di 105 membri in rappresentanza dei governi degli Stati membri e dei paesi candidati all’adesione, dei loro parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione europea.

Dopo sedici mesi di lavoro serrato, tra giugno e luglio 2003 la Convenzione europea ha approvato per consenso un progetto di trattato che istituisce una costituzione per l’Europa.


La costituzione2 europea è stata firmata dai capi di Stato e di governo dei 25 Stati membri a Roma, il 29 ottobre 2004. (Trattato costituzionale3)

Le fasi principali dell’evoluzione politica e sociale

 

Questo cambiamento ha le sue radici nell’allargamento della partecipazione dei cittadini allo Stato attraverso il voto, la presenza nei partiti e nei sindacati, la discussione politica pubblica ecc. Più i cittadini sono divenuti attivi e si sono organizzati in associazioni, partiti e sindacati, meglio essi hanno potuto esprimere richieste essenziali, come diritto di voto, diritto di istruzione, assistenza sociale, interventi statali nell’economia. Col crescere, dunque, della partecipazione, da una parte, lo Stato diveniva più democratico; dall’altra, si allargavano le sue funzioni.

Tutto questo, però, non è avvenuto seguendo uno sviluppo lineare e progressivo: vi sono stati periodi in cui il cambiamento è stato più rapido e periodi in cui esso è stato più lento. E vi è stato anche un periodo che, per molti aspetti, ha rappresentato un passo indietro. Per questo motivo, bisogna distinguere il secolo che va dal 1861 (proclamazione dell’Unità d’Italia) ai nostri giorni in quattro fasi.

1.       La fase oligarchica (dal 1861 alla fine del secolo scorso). Come dice la parola “oligarchia” (che significa “governo di pochi”), questa fase è caratterizzata da cauti e limitati aumenti del numero delle persone che possono votare; dall’assenza di partiti e sindacati; dal predominio del liberismo economico, favorevole alla libertà delle industrie private.

2.   La fase liberale-democratica (dagli inizi di questo secolo fino al 1922): un periodo di forte sviluppo, nel quale si assicurano le libertà fondamentali, si affacciano e rafforzano partiti e sindacati, si allarga il numero degli elettori, si mettono le basi dell’intervento economico e sociale dello Stato.

3.  Il fascismo (1922-43): cessano le principali libertà e non si Svolgono più elezioni democratiche; vengono vietati partiti e sindacati, con l’eccezione di quelli fascisti; si afferma lo Stato autoritario.

4.    Il periodo repubblicano: ha inizio con la caduta del fascismo (1943)e la proclamazione della Repubblica (1946). Con il periodo di maggior sviluppo democratico cessa ogni discriminazione nella concessione del diritto di voto; si ricostituiscono e sviluppano partiti e sindacati; si allargano i servizi sociali.

       Dopo aver illustrato le fasi principali del cambiamento avvenuto

dal 1861 a oggi, esaminiamone più attentamente le componenti. Esse

sono quattro:

-      il corpo elettorale;

-      l’organizzazione politica e sindacale;

-      la Costituzione;

-      l’intervento economico e sociale dello Stato.


I sistemi elettorali partecipazione dei cittadini allo Stato

Le elezioni politiche servono per la costituzione di uno degli organi più importanti della Repubblica: il Parlamento, composto di due or­gani in posizione di parità: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica.

Le elezioni politiche hanno la funzione di consentire la scelta di un corpo selezionato che eserciti la funzione legislativa. Esse avven­gono sulla base di modalità studiate per la trasformazione dei voti del cittadino in seggi, indicate dai sistemi elettorali.

Queste modalità possono essere scritte nelle costituzioni o de-mandate alla legge ordinaria.

La Costituzione italiana non prescrive precise regole elettorali. Essa stabilisce, agli artt. 56 e 58, il principio generale che le due Camere sono elette a suffragio universale diretto (in questo caso, suf­fragio significa voto).

Si ha suffragio universale quando tutti i cittadini che hanno capaci­tà giuridica e una determinata età possono esercitare il diritto di voto (senza limitazioni che derivano dal grado di cultura, dal sesso, dalla razza, dal livello dei propri redditi e così via).

Si ha suffragio diretto quando i cittadini che hanno diritto al voto scelgono direttamente i componenti dell’organo da eleggere.

Si ha suffragio indiretto, o elezione in doppio grado, quando i cit­tadini che hanno diritto al voto non scelgono direttamente l’organo, bensì coloro (elettori secondari) che dovranno eleggerlo.

Sono, dunque, le leggi della Repubblica, sulla base dei principi fissati dalla Costituzione, a determinare i modi (individuazione del sistema elettorale) in cui questa scelta deve avvenire.

I sistemi elettorali possono essere congegnati in due modi.

Possono tenere conto solo delle aspirazioni della maggioranza de­gli elettori (sistemi maggioritari). Possono tenere conto anche delle aspirazioni delle minoranze (sistemi proporzionali).

Nel sistema maggioritario tutti i seggi disponibili (ogni seggio equi­vale ad un membro del Parlamento) vanno al partito o ai partiti che hanno raggiunto una certa percentuale di voti o, semplicemente, il maggior numero di voti (maggioranza relativa).

Nel sistema proporzionale anche ai partiti di minoranza è riservato un certo numero di seggi. Nel sistema proporzionale puro un partito usufruisce dei seggi che ha conquistato nel corso della competizione elettorale, senza che sia necessario superare una soglia minima di voti.

Sistema proporzionale corretto. Nell’ambito di questo, va menzionato il sistema proporzionale con premio di maggioranza. In questo, il partito che ha raggiunto una certa percentuale di consensi fissata dalla legge fa scattare un premio di maggioranza che gli consente di godere di un numero di seggi superiore a quello ottenuto con le votazioni. In tal modo, il sistema proporzionale si trasforma in maggioritario4.

Il sistema maggioritario consente di avere in Parlamento uno schieramento politico omogeneo e, quindi, un più facile esercizio del­la funzione legislativa e una maggiore stabilità dei governi.

Riforma dell'Ordinamento della Repubblica

GIOVEDI` 22 GENNAIO 2004

PRESIDENTE. Senatore D’Onofrio, non vedo il senatore Bassanini, il quale peraltro e` informato. Se lo ritiene opportuno, posso sospendere la seduta per cinque minuti, in attesa dell’arrivo del relatore di minoranza.

D’ONOFRIO, relatore. Non ho difficolta` ad iniziare il mio intervento; nel caso arrivi il collega Bassanini, potra`, se lo vuole, svolgere

dopo di me la sua relazione di minoranza.

L’originario testo del Governo, il disegno di legge n. 2544, risulta significativamente modificato in Commissione, ... non si e` trattato di un testo...blindato; e`un testo che e`stato modificato piu` volte. Vedo che sta entrando il collega Bassanini, e lo saluto...

Nella relazione introduttiva in Commissione ho indicato tre questioni di fondo sulle quali il disegno di legge costituzionale del Governo interviene, a mio giudizio positivamente.

Sulla forma di governo il passaggio molto importante e` quello da un sistema in cui vige una pressoche´ integrale sovranita` parlamentare(che ha finora consentito di considerare costituzionalmente legittimo un Governo purche´ avesse una propria maggioranza nelle Camere), ad un sistema nel quale la compagine sottoposta al voto degli elettori non puo` subire modifiche rispetto alla formazione del Governo nell’ambito della legislatura.

Si tratta di una modifica costituzionale molto rilevante, che tende a fare della volonta` degli elettori il punto nevralgico nella formazione dei Governi, compresa la guida del Primo Ministro, formula quest’ultima che si preferisce rispetto a quella tradizionale di Presidente del Consiglio dei ministri.

BASSANINI, relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la stragrande maggioranza degli italiani continua a considerare la Costituzione repubblicana come il fondamento della convivenza comune,la garanzia dei diritti e delle liberta` dei cittadini e delle loro formazioni sociali, il baluardo ancora solido della democrazia italiana. Ma questa convinzione e` fortemente condivisa soprattutto per quanto riguarda i principi fondamentali, i diritti e le liberta` della Parte I della Carta del 1947.

Quanto alla Parte II, e in specie alla disciplina della forma dello Stato e della forma di Governo, gia` oggetto di numerosi interventi riformatori negli ultimi decenni, e`viceversa convinzione diffusa ancorche´ non unanime che occorra completare la troppo lunga transizione istituzionale italiana, mediante un’opera di aggiornamento e revisione delle sue disposizioni.Anche a questo riguardo occorre certo prudenza e cautela. Come e`stato detto: le Costituzioni nascono per essere durevoli, anche se accade talora che non durino. Il compito di una Costituzione non e` quello di inseguire i mutamenti, ma di assicurare la stabilita`. La prova della «bonta`» di una Costituzione sta nella sua longevita`. Mentre rispetto alla legislazione ordinaria c’e`, per così dire, una presunzione di necessita` di continuo adeguamento, rispetto alla Costituzione vale la presunzione inversa, perche´ ad essa si richiede proprio di contenere il fluire delle leggi fissandone i limiti invalicabili.Ma anche in quest’ottica, e dunque adottando una linea di prudenza e cautela, non si puo` non riconoscere che la seconda parte della nostra Costituzione abbisogna di alcuni aggiornamenti e correzioni. Essi si rendono opportuni per completare, integrare – e, in qualche punto, correggere – la riforma dello Stato in senso federale avviata nella scorsa legislatura; per adeguare il sistema delle garanzie democratiche e costituzionali ai profondi mutamenti gia` intervenuti nella struttura del nostro sistema istituzionale; per dotare il nostro Paese di una forma di governo piu` efficace e democratica, e dunque effettivamente piu` capace di garantire partecipazione dei cittadini, rappresentativita` delle istituzioni, tempestivita` ed efficienza nell’azione di governo per la tutela degli interessi generali.Da un lato, infatti, la riforma del Titolo V sconto` fin dall’inizio la necessita` di successive integrazioni, in specie per quanto concerne la riforma del Senato, ed anche di aggiustamenti e correzioni, poiche´ nessuna riforma di grande respiro nasce perfetta dalla testa del legislatore. Dall’altro, il contesto nel quale alla Costituente furono definiti il sistema delle garanzie e la forma di Governo e`consistentemente cambiato. Sul terreno istituzionale, e` appena il caso di ricordare che la Costituente lavoro` su due presupposti: che per la legge elettorale sarebbe stato adottato un sistema proporzionale (ordine del giorno Giolitti) e che la forma dello Stato sarebbe stata unitaria e accentrata, sia pure con largo riconoscimento delle autonomie regionali e locali.

Ora, non vi e` chi non veda che l’adozione di sistemi elettorali maggioritari e di una forma di Stato ispirata al modello federale non puo` non imporre modifiche profonde del sistema delle disposizioni costituzionali relative alla forma di Governo, allo statuto dell’opposizione, alle garanzie democratiche e costituzionali

Questi nodi sono, a nostro avviso, essenzialmente tre; su tutti e tre,purtroppo, la distanza tra il progetto dell’opposizione e il testo al nostro esame e` molto forte.

Cominciamo con l’esaminare le questioni della forma di Governo e delle garanzie democratiche e costituzionali. Noi vogliamo una forte democrazia governante. Istituzioni forti sono meglio in grado di risolvere i problemi dei cittadini. Ma la forza nasce dal consenso, dalla legittimazione delle istituzioni e dalla loro capacita` di interpretare attese e domande sociali, non solo dalla loro capacita` di decidere e di attuare le decisioni prese.

Siamo dunque per un sistema che consenta agli elettori di decidere sul programma, sulla maggioranza, sul Governo del Paese e che dia alla maggioranza e al Governo gli strumenti per realizzare il programma approvato dagli elettori.

Ma, nel contempo, la Costituzione deve stabilire con chiarezza i limiti del potere della maggioranza e del Governo e i limiti della politica. La dittatura della maggioranza non e` compatibile con la democrazia.

Da Montesquieu in poi questo e` il cuore delle Costituzioni democratiche e liberali: i limiti della politica, da un lato, i limiti della maggioranza, dall’altro, sono essenziali per dare a tutti la certezza che i diritti e le liberta` di ognuno non sono minacciati, che le regole e i principi della democrazia non sono alla merce´ di chi ha vinto le elezioni.

Le regole, i diritti, le liberta` dei cittadini non sono appannaggio del vincitore: questa certezza e questa sicurezza sono il cuore della democrazia e del costituzionalismo moderno.

Presidenzialismo sul modello americano, cancellierato sul modello tedesco, premiership britannica, semipresidenzialismo francese: ciascuno di questi modelli da` forza al Governo, stabilita` alle maggioranze, legittimazione alle istituzioni, ma ciascuno prevede checks and balances, contrappesi e garanzie efficaci, argini al potere di chi ha vinto, garanzie della democraticita` del sistema e del pluralismo istituzionale.

E `vero che la democrazia e` forte se e` in grado di prendere rapidamente le decisioni necessarie. Ma lo e`se lo fa con il consenso dei cittadini,se garantisce adeguati controlli sull’esercizio del potere, se assicura un equilibrato pluralismo fra le istituzioni. Se cio` non accade, alla lunga non sapra` neppure prendere le decisioni giuste, ne´ sapra` farle rispettare.

La personalizzazione della politica e` un fatto con cui le istituzioni debbono fare i conti, non e` un valore da promuovere fino all’esasperazione.

Non basta la legittimazione elettorale per rendere democratica una forma di Governo: la storia e` ricca, ahime´, di dittatori eletti. E neppure e` vero che la concentrazione dei poteri nelle mani di un capo e`un buon principio di sociologia dell’organizzazione praticata in tutte le aziende private. Vale forse per le imprese a conduzione familiare, gestite direttamente dal proprietario, ma nelle grandi imprese si usa dividere le deleghe tra piu` amministratori o almeno sottoporle all’indirizzo e al controllo di organi collegiali.

Ci siamo dichiarati per questo disponibili a ragionare su tutti i modelli democratici a disposizione, compreso il presidenzialismo americano; non siamo disponibili invece a mischiarli insieme per dare al Capo del Governo i poteri di Bush e di Blair, senza alcuno dei contrappesi e delle garanzie proprie, in varie forme, dell’uno o dell’altro modello.

Abbiamo espresso una preferenza per il modello britannico: prevediamo di dare al Primo Ministro tutti i poteri e le prerogative che ha il Primo Ministro inglese; di consolidarli in disposizioni costituzionali; di aggiungere una norma antiribaltone per cui, se cambia sostanzialmente la maggioranza espressa dalle elezioni, si torna a votare. Ma siamo contrari ad ogni ulteriore rafforzamento dei poteri del Governo e del Primo Ministro se non si risolvono contestualmente i problemi dell’adeguamento al bipolarismo maggioritario del sistema delle garanzie democratiche e costituzionali, del pluralismo dell’informazione, dello statuto dell’opposizione, del conflitto di interessi.

Il nostro sistema costituzionale, comparato con quello delle altre grandi democrazie, presenta anomalie rilevanti innanzitutto sui terreni ora ricordati.

La legge elettorale maggioritaria e le riforme degli anni Novanta hanno gia` dato agli Esecutivi regionali, locali e nazionali poteri e strumenti piu` forti per governare, ma non hanno introdotto i checks and balances, i contrappesi propri delle altre democrazie.Proprio per questo, la nostra proposta e`dedicata in parte notevole all’adeguamento delle garanzie costituzionali e democratiche. Si apre con disposizioni sul pluralismo dell’informazione e sul conflitto di interessi; prosegue alzando a due terzi la maggioranza necessaria per modificare la Costituzione, come per esempio in Germania e negli Stati Uniti; prevedendo maggioranze qualificate per l’elezione degli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Presidenti delle Camere) e per modificarei Regolamenti parlamentari.

Le attuali maggioranze furono infatti previste da una Costituente che ragionava sulla base di una legge elettorale proporzionale, dove nessuno puo` raggiungere la maggioranza assoluta in Parlamento senza averla ottenuta anche nel voto degli elettori. Ma così non e`nel sistema maggioritario, dove chi vince, magari con il 40 per cento dei suffragi, puo` avere anche piu` del 55 per cento dei seggi in Parlamento.

Ancora: il nostro progetto definisce le linee di un efficace statuto dell’opposizione, assicura l’effettiva indipendenza della magistratura e delle autorita` indipendenti, potenzia il ruolo di controllo del Parlamento, sul modello britannico e americano, ripristina le condizioni per un uso efficace del referendum abrogativo, potenzia gli strumenti della democrazia partecipativa.

C’e` qualcosa di tutto cio` nel progetto al nostro esame? Praticamente nulla. Si accrescono a dismisura i poteri del Primo Ministro, neppure si sfiora il problema dei contrappesi e delle garanzie. Al contrario: si mettono le mani dei partiti della maggioranza sulla Corte costituzionale, si fa del Capo dello Stato e dei Presidenti delle Camere organi di parte, e stupisce che mentre il Ministro dell’economia propone, giustamente, una garanzia dell’imparzialita` dei membri delle Autorita` indipendenti ottenuta attraverso maggioranze qualificate nel voto parlamentare, viceversa questo lo si neghi ad organi di garanzia per eccellenza, come e` , in primo luogo, il Capo dello Stato.Come abbiamo detto, noi vogliamo una democrazia governante, siamo per dare al Primo Ministro poteri piu` forti, in qualche misura anche un po’ oltre il limite del sistema britannico.

Veniamo ora alla terza parte concernente la riforma dello Stato e del Parlamento. Siamo per completare e anche per correggere ed aggiustare,dove necessario, perche´ come dicevo nessuna riforma nasce perfetta, la riforma federale, ma secondo il modello del federalismo cooperativo e solidale senza mettere a rischio l’unita` d’Italia.

Vogliamo un federalismo che funzioni sul modello delle grandi esperienze federali straniere, dunque nella consapevolezza che il sistema federale serve per unire i diversi, per fare della diversita` una ricchezza comune – e pluribus unum – non per contrapporre, separare e dividere.

Dunque, pensiamo ad un Senato che sia il luogo del confronto democratico e dell’armonizzazione fra le ragioni della diversita` e gli interessi generali.


Il progetto di riforma in sintesi.


2.1. Articolazione e composizione del Parlamento (artt. 55 64).


Il Senato della Repubblica diventa «Senato federale* (art. 55). Viene ridotto il numero dei parlamentari: da 630 a 518 i deputati e da 315 a 252 i senatori (artt. 56 e 57)5 (1). Il numero dei deputati, non più senatori, a vita, nominati dal Presidente della Repubblica, viene limitato a 3 (art. 59). ~


Il Senato è eletto su base regionale, come già prescrive la Costituzione vigente. Rimangono invariati il numero dei senatori della Valle d'Aosta (uno) e del Molise (due), mentre il numero minimo di senatori per ciascun altra Regione passa da sette a sei.


La caratterizzazione in senso federale>> del Senato emerge dalla disposizione che prevede che i senatori siano eletti in ciascuna Regione conte8tualmente all'elezione dei Consigli regionali. Per ciascuna regione, un rappresentante del Consiglio regionale e uno del Consiglio delle autonomie locali partecipano all'attività del Senato, senza diritto di voto (art. 57).


Inoltre, si stabilisce che le deliberazioni del Senato siano valide solo se sono presenti senatori di almeno un terzo delle Regioni (art. 64).


L'eleggibilità a senatore (art. 58), nel testo originariamente proposto dal Governo, era limitata a chi avesse ricoperto cariche elettive in enti territoriali locali o regionali all'interno della Regione o fosse stato eletto senatore e deputato nella Regione stessa. In Commissione al Senato si è aggiunto, in alternativa, il criterio della residenza nella Regione (rendendo così quasi pleonastici i criteri precedenti).


La durata resta di 5 anni per la Camera, per i senatori è quella dei relativi Consigli regionali (art. 60).


2.2. Le funzioni legislative di Camera e Senato (art. 70).


Il vigente art. 70 stabilisce il sistema di bicameralismo perfetto che caratterizza il nostro ordinamento: «Lafunzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere». Il nuovo art. 70 è alquanto complesso (cfr. allegato) e si collega alla ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni di cui all'art. 117, come riformato dalla legge costituzionale n. 1/2001. In sintesi, sono definite tre modalità di svolgimento della funzione legislativa:


a) con predominanza della Camera, per le materie di legislazione esclusiva dello Stato (con le due eccezioni della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e dell'ordinamento degli Enti locali di cui si dirà al punto e) più avanti);


b) con predominanza del Senato, per la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente (per le quali, secondo l'art. 117 «spetta, alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato»);


e) esercitata collettivamente dalle due Camere per d.d.l. concernenti, tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, 1) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale e 2) la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e l'ordinamento della Capitale, e, inoltre, 3) il federalismo fiscale (le materie di cui all'art. 119, che comprendono l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli Enti territoriali, la perequazione delle risorse finanziarie, le risorse aggiuntive statali per promuovere sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale, per rimuovere squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona), 4) l'esercizio dei poteri sostìtutivi dello Stato nei confronti degli Enti territoriali (art. 120, e. 2), 5) il sistema di elezione di Camera e Senato, 6) alcune materie per le quali la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato6 (2).


La predominanza di un ramo sull'altro (modalità sub a e b) riguarda la risoluzione di eventuali difformità di opinione. Così, per le materie di legislazione esclusiva dello Stato (modalità sub a), i d.d.l. sono esaminati dalla Camera.Dopo l'approvazione, vengono trasmessial Senato che, entro 30 giorni (15 giorni se si tratta di d.d.l. di conversione di decreti legge), può proporre modifiche su cui,la Camera decide in via definitiva. Per le materie di legislazione concorrente (modalità sub b) è prevista una procedura simmetrica, in cui la decisione definitiva è demandata al Senato. La predominanza del Senato è, tuttavia, fortemente attenuata dalla presenza di un'eccezione, che si verifica qualora il Governo ritenga che proprie modifiche, approvate dalla Camera, a un d.d.l. sottoposto al Senato siano essenziali per l'attuazione del proprio programma o per la tutela delle esigenze di cui all'art. 120 (quelle che giustificano l'esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni e degli Enti locali: mancato rispetto di norme e trattati internazionali, pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica, unità giuridica ed economica, in particolare per i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale). In questi casi, il Primo ministro, prevìa autorizzazione del. Presidente della Repubblica, può esporre al Senato le modifiche proposte dal Governo. Se il Senato non accetta tali modifiche (e ha trenta giorni di tempo per farlo), il d.d.l. viene sottratto alla competenza del Senato stesso e attribuito a quella della Camera, che decide in via definitiva (a maggioranza assoluta dei suoi componenti)7 (3).


Nelle materie in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (modalità e), i d.d.l. vengono sempre esaminati da entrambi i rami. Tuttavia, rispetto alla situazione odierna, vi è una novità, la cui portata non è peraltro molto chiara: la possibilità di interrompere la «navetta* di un d.d.l. da un ramo all'altro con una procedura di riconciliazione. Infatti, nel caso le due Camere approvino testi diversi di un d.d.l., i Presidenti delle Camere possono convocare una Commissione mista paritetica (trenta deputati e trenta senatori, designati sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere), incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto delle due Assemblee

Su eventuali, questioni, di competenza fra le due Camere (vale a dire, sull'attribuzione.di:un particolare d.d.l., a una delle tre modalità sopra esposte) decidono i Presidenti di Camera e Senato. Essi possono deferire la decisione a un Comitato paritetico (4 deputati e 4 senatori ,designati sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere). La decisione dei Presidenti o del Comitato non è sindacabile in alcuna sede» (art. 70, e, 6). Va infine segnalata l'affermazione del,principio secondo cui un disegno di legge non può contenere disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi (art. 70, e. 6).


1 2~3. Distribuzione della potestà legislativa tra Stato e Regioni (artt. 117 118).


La modifica più rilevante (la cosiddetta devolution) investe l'art. 117. Nella formulazione vigente, accan to alle nozioni di legislazione esclusiva dello Stato e di legislazione concorrente, è già presente la nozione di potestà legislativa esclusiva delle Regioni contenuto residuale (<ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato»). Nel nuovo testo, si aggiungono in modo esplicito le seguenti quattro materie:

a) assistenza e organizzazione sanitaria;

b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;

e) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse della Regione;

d) polizia amministrativa regionale e locale.

D'altro canto, alcune materie di legislazione concorrente nella Costituzione vigente vengono attribuite alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, e. 2): le norme generali di tutela della salute, sicurezza e qualità alimentari, la sicurezza del lavoro, l'ordinamento della capitale (5), le grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento

delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo nazionale, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia.


Una seconda modifica riguarda l'art. 118, che attualmente attribuisce le funzioni amministrative ai Comuni (fatto salvo il principio di sussidiarietà) e stabilisce che la legge statale disciplini forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie 1) dell'immigrazione, 2) dell'ordine pubblico e sicurezza ad esclusione della polizia amministrativa locale 3) della tutela dei beni culturali (le prime due sono materie di legislazione esclusiva dello Stato, la terza di legislazione concorrente). Nel nuovo testo si aggiungono all'eleneo: 4) le grandi reti di trasporto e navigazione di interesse nazionale (di legislazione esclusiva dello Stato) e 5) la ricerca scientifica e tecnologica (di legislazione concorrente).


Sempre nell'ambito del coordinamento tra Stato e Regioni, è di rilievo la rilevanza costituzionale attribuita alla Conferenza Stato Regioni (art. 118, e. 3) e ad altre Conferenze tra lo Stato e gli Enti territoriali <per realizzare la leale collaborazione e promuovere accordi e íntese*.


Nella Costituzione vigente, l'art. 118 afferma il principio di sussidiarietà come base della promozione da parte dello Stato e degli enti territoriali «dell'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale». Il testo della riforma aggiunge, sempre sulla base del principio di sussidiarietà, la promozione dell'autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale, dando così un fondamento costituzionale al decentramento funzionale, oltre a quello territoriale.


La novità forse più importante e, come vedremo (nel § 6), sorprendente è, comunque, quella che compare nelle disposizioni transitorie (d.d.l. costituzionale, art. 57, Federalismo fiscale e finanza statale), dove si afferma che «in nessun caso l'attribuzione dell'autonomia impositiva ai Comuni, alle Province alle Città metropolitane e alle Regioni può determinare un incremento della pressione fiscale complessiva».




Sono ordinamenti giuridici: lo Stato, i sindacati, i partiti, l’ordinamento sportivo, quello religioso ecc. Mentre, però, alcuni ordinamenti sono molto sviluppati, altri lo sono meno.

Lo Stato è .oggi, l’ordinamento giuridico più sviluppato. Esso è composto di molti soggetti (tra i quali vi sono, in particolare, i cittadini); ha un’organizzazione imponente (chiamata amministrazione pubblica) ed è soggetto a un sistema molto complesso di norme (tra cui, principalmente, le leggi).

Se, dunque, esso è l’ordinamento giuridico più complesso, questo non vuoi dire che tutto il diritto promana dallo Stato. Vi sono anche altri ordinamenti giuridici, meno sviluppati, ma non meno importanti. I due esempi più rilevanti sono quelli costituiti dall’ordinamentoLa nozione di ordinamento giuridico

 

Si chiama ordinamento giuridico un gruppo di soggetti dotati di un’organizzazione e regolato da norme.

Sono ordinamenti giuridici: lo Stato, i sindacati, i partiti, l’ordinamento sportivo, quello religioso ecc. Mentre, però, alcuni ordinamenti sono molto sviluppati, altri lo sono meno.

Lo Stato è .oggi, l’ordinamento giuridico più sviluppato. Esso è composto di molti soggetti (tra i quali vi sono, in particolare, i cittadini); ha un’organizzazione imponente (chiamata amministrazione pubblica) ed è soggetto a un sistema molto complesso di norme (tra cui, principalmente, le leggi).

Se, dunque, esso è l’ordinamento giuridico più complesso, questo non vuoi dire che tutto il diritto promana dallo Stato. Vi sono anche altri ordinamenti giuridici, meno sviluppati, ma non meno importanti. I due esempi più rilevanti sono quelli costituiti dall’ordinamento

internazionale e dall’ordinamento sindacale, l’uno più ampio, l’altro più ristretto dello Stato.

L’ordinamento internazionale si è andato sviluppando specialmente in questo secolo. Ne fanno parte come soggetti, in particolare, gli Stati (che, pur essendo ordinamenti a loro volta, entrano, così, a far parte di un ordinamento giuridico più ampio). Sono, poi, numerose le organizzazioni internazionali come, ad esempio, l’Organizzazione delle nazioni unite (ONU). E ampio è il numero delle norme che regolano l’azione dei soggetti internazionali.

L’ordinamento sindacale si è sviluppato, in Italia, dopo la seconda guerra mondiale. Ne fanno parte, come soggetti, i lavoratori, i datori di lavoro e i sindacati (questi ultimi sono associazioni non riconosciute). I sindacati hanno proprie organizzazioni e stipulano “contratti” che si applicano, come norme, ai lavoratori e agli imprenditori, per definirne diritti e doveri reciproci.


Gli elementi degli ordinamenti giuridici

 

Dalla definizione di ordinamento giuridico si è compreso che tre sono gli elementi indispensabili dell’ordinamento:

—                  pluralità di soggetti;

—                  sistema di norme;

—                  organizzazione.


Organizzazione Attiene al modo in cui le funzioni sono ripartite ed esercitate all’interno dell’ordinamento. Per lungo tempo l’organizzazione è stata considerata un aspetto secondario, essendo diffusa l’opinione che essa non interessasse la scienza del diritto e che non fosse elemento costitutivo degli ordinamenti giuridici.

Ridotta al suo nucleo essenziale, l’organizzazione è un disegno permanente8 che prevede l’esistenza e il funzionamento di organi, di enti e di uffici. Di questi sono disciplinate, all’interno del disegno organizzativo, la competenza e l’attività.



I rapporti tra gli ordinamenti giuridici

 

Gli ordinamenti giuridici, pur essendo diversi l’uno dall’altro, non sono posti, tra loro, nella stessa posizione. Mentre alcuni sono equiordinati, altri sono, invece, subordinati.

I primi, cioè, sono tra loro separati, i secondi invece sono collegati, nel senso che uno di essi deve rispettare almeno alcune regole fondamentali dell’altro. Ad esempio, i rapporti degli ordinamenti statali tra di loro sono, di regola, di equiordinazione; ciascuno Stato è indipendente dall’altro e ne riconosce, a condizioni di reciprocità, alcune regole.

Invece, il rapporto tra l’ordinamento sindacale e quello statale è di subordinazione.

Proprio perché l’ordinamento giuridico è più sviluppato e complesso, lo Stato è, di solito, oggi, l’ordinamento che prevale sugli altri. Esso  si dice  non ha un ordinamento superiore, è sovrano. In realtà come vedremo meglio più avanti questo è stato vero per alcuni secoli, da quando è nato lo Stato moderno (Cinquecento - Seicento) alla metà del nostro secolo. Oggi, la situazione va cambiando, perché l’ordinamento statale cede, da una parte, funzioni e poteri a quello internazionale e riconosce, dall’altra, nel suo ambito territoriale, ordinamenti e gruppi portatori di interessi sociali (come i sindacati).

 

Le fonti del diritto

 

Per fonte del diritto si intendono gli atti di produzione normativa, e cioè quegli atti che pongono proposizioni giuridiche.

Le fonti si classificano, secondo una scala gerarchica, in:

—                  costituzionali;

—                  primarie;

—                  subprimarie;

—                  secondarie.

La scala gerarchica è strettamente vincolante, per cui, in primo luogo, una norma posta su un livello non può essere modificata se non da una norma dello stesso livello (o di livello superiore); e, in secondo luogo, le norme del livello inferiore debbono conformarsi a quelle del livello superiore.

Le fonti costituzionali sono di due tipi:

—                  principi istituzionali fondamentali e non modificabili. Ad esempio, quello sancito nell’ultimo articolo della Costituzione (art. 139), per cui «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». La trasformazione della Repubblica in Monarchia comporterebbe una modificazione così profonda da costituire un rivolgimento costituzionale;

—                  la Costituzione, entrata in vigore il Io gennaio i 948 e le leggi costituzionali (art. 138 Cost.). La Costituzione e le leggi costituzionali sono leggi, ma hanno una particolare forza, che deriva loro dalla speciale procedura di approvazione e di modificazione (doppia deliberazione in ciascun ramo del Parlamento, di cui la seconda a maggioranza as­soluta dei componenti) e dal controllo della Corte costituzionale (che assicura la conformità delle leggi ordinarie alla Costituzione e alle leggi costituzionali). Per questi motivi, la Costituzione viene detta rigida, mentre lo Statuto albertino, che poteva essere modificato con legge ordinaria, era una costituzione flessibile.

 

Le fonti comunitarie

 

Nella gerarchia delle fonti, si sono inserite le fonti comunitarie. Queste hanno acquisito preminenza nei confronti del diritto interno. L’unico loro limite è quello del rispetto dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo.

A queste conclusioni la Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia europea sono pervenute dopo una lunga evoluzione.


La divisione dei poteri: nozione e origine storica

 

La divisione dei poteri può essere formulata in modo molto semplice. Negli Stati moderni, si realizza una sorta di divisione dei compiti fra tre apparati:

—                                                                                               le assemblee legislative, che adottano i precetti generali e astratti (norme);

—                                                                                               l’apparato esecutivo, che esegue e attua la politica statale;

—                                                                                             il potere giudiziario, che giudica le controversie tra cittadini.

 

 

Questa teoria ha origine storiche ben precise e risale nella sua for­mulazione a Montesquieu (1748). Quest’autore notò, nel Settecento, che in alcuni Stati, e specialmente in Inghilterra, alla Corona e alla nobiltà, tradizionali detentori del potere governativo (che fu poi defi­nito esecutivo), si afliancava un Parlamento, composto dai rappresen­tanti della borghesia, che controllava l’azione del potere governativo specialmente mediante lo strumento dell’approvazione dei bilanci che fornivano i mezzi per l’attività della Corona. E si affiancava inoltre la giurisdizione, formata in gran parte con uomini che provenivano an­ch’essi dalla borghesia e sottratta agli interventi sia del potere legisla­tivo, sia del potere governativo. All’origine, dunque, la divisione dei poteri era una sorta di divisione dei compiti fra strati sociali, oltre che tra organismi pubblici.

 

In tempi successivi la divisione dei poteri diventa una cosa diversa:

è solo un principio di distribuzione delle funzioni tra gli organi (o gli apparati).La divisione dei poteri è un criterio di organizzazione dello Stato. Tuttavia essa non ha più un valore assoluto, ma relativo e tendenziale.

Caratteristiche della divisione dei poteri, oggi sono:

— la divisione tendenziale dei compiti tra gli organi di vertice;

— il reciproco bilanciamento e controllo tra tali organi.

La funzione di indirizzo politico

 

La funzione di indirizzo politico. La formulazione tradizionale della divisione dei poteri lascia fuori quest’altro settore importante dell’attività statale.

L’importanza: è il programma di governo che elenca le leggi e gli altri provvedimenti che il governo intende prendere. e vi sono altre attività che non possono essere classificate in nessuno dei tre tradizionali poteri, ma che ne rappresentano l’antecedente e li sovrastano.

Democrazia diretta e democrazia indiretta (o delegata)

Come s’è detto per il principio della divisione dei poteri, anche per la contrapposizione Stato-società civile deve aggiungersi che questa non è scomparsa, si è solo andata attenuando. Infatti, non solo rimangono settori nei quali il potere pubblico agisce necessariamente come autorità (ad esempio, l’ordine pubblico), ma anche là dove es­so agisce come erogatore di beni o servizi a favore di privati si creano talvolta nuove forme di autorità.

Un modo per diminuire il distacco che si crea tra Stato e cittadi­ni è costituito dagli strumenti di democrazia indiretta: in primo luogo, dall’elezione dei titolari degli organi principali dello Stato. Gli ordinamenti moderni (e così anche quello italiano) circondano le elezioni di una serie di minute garanzie (le vedremo, in particolare, quando si parlerà del corpo elettorale e del sistema elettorale), per assicurare che esse svolgano il compito di unione tra Stato e società.

Più difficile è la democrazia diretta, che non opera tramite altre persone (gli eletti), ma consente alla stessa società civile di prendere

le decisioni che la riguardano. Questa, però, può realizzarsi in ordinamenti ristretti (ad esempio, in Svizzera), mentre incontra difficoltà notevoli in ordinamenti con decine di milioni di cittadini. Vedremo però che, pur con molte cautele, nel nostro ordinamento è stato introdotto, dalla Costituzione, il referendum o deliberazione popolare diretta.


Le forme di Stato: evoluzione storica dei tipi di Stato

 

Esaminata la nozione di Stato e le sue varie componenti, passiamo ora ad analizzarne le varie specie. Gli Stati possono essere più o meno accentrati, più o meno democratici, più o meno autoritari ecc. Le diversità sono molte, perché l’assetto degli Stati dipende dalla classe dirigente, dalle tradizioni, dalle condizioni economiche del Paese, dai vincoli internazionali ecc. Per ragioni di comodo, tuttavia, gli studiosi hanno isolato alcuni elementi caratteristici, costruito alcuni tipi ideali e confrontato gli Stati con tali tipi. È in tal modo che sono classificate le forme di Stato. È bene avvertire, tuttavia, che i tipi o forme di Stato sono modelli ideali, ai quali gli Stati realmente esistenti si avvicinano, senza però identificarsi completamente con essi.

Le principali forme di Stato attuali

 

Le principali forme di Stato attuali sono:

a) in relazione all’equilibrio e alla distribuzione dei poteri pubblici sul territorio, unitarie, federali e regionali;

b) in relazione ai rapporti tra società e Stato, democratiche e autorita­ne;

c) in relazione all’assetto dei rapporti economici, capitalistiche e so­cialiste.

Gli Stati unitari (di cui il principale esempio è stato a lungo la Francia; peraltro, in questo Paese sono state recentemente introdotte 22 Regioni) sono caratterizzati da un apparato amministrativo centra­le e periferico dipendente, in larghissima parte, dal governo centrale, posto nella capitale. Gli Stati federali, invece, sono costituiti da Stati membri (o Stati federati) e da uno Stato federale. Gli Stati membri mantengono la loro supremazia nel proprio ambito (cosiddetta sovra­nità interna). Solo lo Stato federale, però, agisce all’esterno per la difesa e i rapporti internazionali (cosiddetta sovranità esterna). Sono Stato federale gli Stati Uniti d’America (USA). Gli Stati regionali costi­tuiscono una forma intermedia: il potere è distribuito, all’interno, tra enti detti Regioni, con organi elettivi e autonomi; al centro, però, vi è uno Stato con poteri di indirizzo e coordinamento, che si riserva la maggior parte delle funzioni pubbliche. L’Italia ha, a partire dal 1970, una struttura regionale.

Occorre avvertire che le differenze tra i due tipi esposti si sono andate molto attenuando, nei fatti. Ad esempio, negli Stati Uniti il governo federale ha propri uffici nel territorio degli Stati membri, in­vadendo, quindi, la cosiddetta sovranità interna di questi. Gli Stati unitari, a loro volta, riconoscono e garantiscono forme di autonomia subregionale, come quella dei Comuni e delle Province.

Gli Stati democratici sono caratterizzati dalla composizione rappre­sentativa degli organi deliberativi (il Parlamento) e, quindi, dalla so­vranità popolare. Peraltro, vi sono Stati che, pur ammettendo l’eletti­vità del Parlamento, non consentono a tutte le persone fisiche al di sopra di una certa età di partecipare alle votazioni (cosiddetto suffra­gio limitato o ristretto). L’elezione popolare del Parlamento, però, non basta. Occorrono anche altri elementi per caratterizzare uno Sta­to come democratico: libertà di formazione e di iscrizione ai partiti, libertà di stampa, libertà di manifestazione del pensiero ecc. Gli Stati non democratici si definiscono autoritari. Di solito, gli Stati autoritari sono retti da una persona o da un gruppo di persone non elette (dit­tatore, giunta militare ecc.), che controllano il potere esecutivo e la­sciano scarsa o nessuna libertà.

Gli Stati democratici (più di quelli autoritari) presentano molte varianti. Tra gli Stati democratici vanno segnalate, in particolare, le democrazie pluraliste. Queste integrano il rapporto governanti-gover­nati, stabilito con le elezioni, con un sistema di poteri contrapposti (detti anche controlli e contrappesi o contropoteri). Essi servono ad arricchire la democrazia, ma anche a temperarla, perché anche una maggioranza democraticamente eletta può trasformarsi in una dittatu­ra elettiva.

Gli ultimi tipi di Stato sono quelli capitalistico e socialista. Si defniscono capitalistici gli Stati caratterizzati dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e, in particolare, delle imprese. Peraltro, in mol­ti Stati capitalistici, come quello italiano, accanto a un settore econo­mico privato, vi è un più o meno esteso settore economico pubblico, costituito da imprese nazionalizzate, da società con partecipazione statale, da imprese municipalizzate. Negli Stati socialisti, l’economia è quasi interamente controllata dallo Stato. Questo è proprietario, di regola, di terreni, impianti ed edifici, gestisce direttamente le impre­se; programma, dal centro, con piani quinquennali, le attività econo­miche. Anche negli Stati socialisti, peraltro, vi sono, sia pur in ambiti molto limitati, diritti economici dei privati. Ad esempio, questi pos­sono essere proprietari, a titolo individuale, di un’abitazione e posso­no avere, a titolo individuale o collettivo (e cioè insieme con altri), terreni produttivi a uso agricolo.

Peraltro, anche la contrapposizione tra Stati capitalistici e Stati socialisti si va attenuando. Non solo come s e detto nei primi vi sono proprietà e imprese pubbliche ma, in essi, si sono diffusi stru­menti pubblici di controllo e direzione di attività private. Basti ricor­dare che, negli Stati capitalistici, organi pubblici centrali stabiliscono programmi per l’economia, guidano e controllano il credito, fissano d’autorità. il prezzo di alcuni beni, controllano l’edificazione dei suoli ecc.

La contrapposizione tra Stati capitalistici e Stati socialisti, inoltre, ha perduto l’interesse che aveva con la dissoluzione della Unione del­le Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e l’introduzione in Russia dell’economia di mercato.

Le Caratteristiche dello Stato italiano

 

Viste le nozioni e i cosiddetti elementi costitutivi dello Stato, nonché i   diversi tipi di Stati, esaminiamo le caratteristiche dello Stato italiano o come si dice di solito la forma di Stato vigente oggi in Italia. Lo Stato italiano è:

repubblicano. Ciò vuol dire che capo dello Stato è una persona eletta periodicamente e non un membro di una famiglia (detta casa regnante o casa reale). Come si è visto, la Costituzione, nell’ultimo articolo, dispone che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»;

democratico. L’art. i della Costituzione dice: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». È democratico un ordina­mento governato dal popolo. A esso sono attribuiti diritti (di voto, ad esempio) e libertà (di manifestazione del pensiero, ad esempio). L’opposto di uno Stato democratico è lo Stato autoritario, quale si ebbe, in Italia, durante il periodo fascista: lo Stato autoritario limita le libertà, toglie la sovranità al popolo e rafforza l’autoritarismo dei poteri pubblici;

regionale. È tale perché, oltre allo Stato centrale, vi sono in periferia venti Regioni, che sono, come lo Stato, enti pubblici, governati da corpi elettivi, con potere legislativo;

pluralista. E tale perché la Costituzione, con l’art. 2, fa carico alla Repubblica di garantire «le formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’uomo». In passato, nelle Costituzioni erano considerati solo gli individui, ai quali soltanto si garantivano diritti nei confronti dello Stato (cosiddetto individualismo). La Costituzione italiana garantisce anche i gruppi e le formazioni sociali.

Quest’ultima caratteristica (pluralismo sociale) è accentuata grazie al pluralismo politico (indipendenza dell’ordine giudiziario; esistenza di un giudice delle leggi la Corte costituzionale —; esistenza di poteri indipendenti ecc.). Grazie al pluralismo politico, l’attività pubblica non è tutta attratta nella sfera di influenza del governo.

 

Stato e ordinamento internazionale

 

La Costituzione (art. II) prevede che l’Italia:

        consenta, a condizioni di parità con altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giusti­zia tra le nazioni;

        promuova e favorisca le organizzazioni internazionali rivolte ad as­sicurare la pace e la giustizia tra le nazioni.

È su questa base che lo Stato italiano stringe accordi con altri Stati e dà vita a organizzazioni internazionali.

Le organizzazioni europee

 

Numerosi accordi stipulati tra i Paesi europei hanno dato vita a una serie di organismi, alcuni dei quali di importanza considerevole.

Il più vecchio tra questi organismi è il Consiglio d’Europa, che ha il fine di promuovere l’unità politica europea. Il Consiglio risale al 1949 e va segnalato per l’attività svolta in due settori:

— nel campo del coordinamento di alcune parti della legislazione dei Paesi membri, attraverso l’elaborazione dei trattati internazionali (ad esempio, in materia di estradizione), trattati che, tuttavia, non tutti gli Stati hanno ratificato;

— nel campo della protezione dei diritti dell’uomo.

L’Unione europea

 

Il    Trattato di Maastricht configura l’Unione in modo molto comples­so. Esso sovrappone alle Comunità europee un ‘Unione politica. Que­sta si occupa di politica estera, sicurezza comune, giustizia, affari esterni. Le Comunità, invece, si occupano di economia.

La Convenzione europea, i cui lavori hanno preso inizio sotto la presidenza di Valéry Giscard D’Estaing il 28 febbraio 2002, si componeva di 105 membri in rappresentanza dei governi degli Stati membri e dei paesi candidati all’adesione, dei loro parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione europea.

Dopo sedici mesi di lavoro serrato, tra giugno e luglio 2003 la Convenzione
europea ha approvato per consenso un progetto di trattato che istituisce
una costituzione per l’Europa.

La costituzione9 europea è stata firmata dai capi di Stato e di governo dei 25 Stati membri a Roma, il 29 ottobre 2004. (Trattato costituzionale10)

Le fasi principali dell’evoluzione politica e sociale

 

Questo cambiamento ha le sue radici nell’allargamento della partecipazione dei cittadini allo Stato attraverso il voto, la presenza nei partiti e nei sindacati, la discussione politica pubblica ecc. Più i cittadini sono divenuti attivi e si sono organizzati in associazioni, partiti e sindacati, meglio essi hanno potuto esprimere richieste essenziali, come diritto di voto, diritto di istruzione, assistenza sociale, interventi statali nell’economia. Col crescere, dunque, della partecipazione, da una parte, lo Stato diveniva più democratico; dall’altra, si allargavano le sue funzioni.

Tutto questo, però, non è avvenuto seguendo uno sviluppo lineare e progressivo: vi sono stati periodi in cui il cambiamento è stato più rapido e periodi in cui esso è stato più lento. E vi è stato anche un periodo che, per molti aspetti, ha rappresentato un passo indietro. Per questo motivo, bisogna distinguere il secolo che va dal 1861 (proclamazione dell’Unità d’Italia) ai nostri giorni in quattro fasi.

1.       La fase oligarchica (dal 1861 alla fine del secolo scorso). Come dice la parola “oligarchia” (che significa “governo di pochi”), questa fase è caratterizzata da cauti e limitati aumenti del numero delle persone che possono votare; dall’assenza di partiti e sindacati; dal predominio del liberismo economico, favorevole alla libertà delle industrie private.

2.   La fase liberale-democratica (dagli inizi di questo secolo fino al 1922): un periodo di forte sviluppo, nel quale si assicurano le libertà fondamentali, si affacciano e rafforzano partiti e sindacati, si allarga il numero degli elettori, si mettono le basi dell’intervento economico e sociale dello Stato.

3.  Il fascismo (1922-43): cessano le principali libertà e non si Svolgono più elezioni democratiche; vengono vietati partiti e sindacati, con l’eccezione di quelli fascisti; si afferma lo Stato autoritario.

4.    Il periodo repubblicano: ha inizio con la caduta del fascismo (1943)e la proclamazione della Repubblica (1946). Con il periodo di maggior sviluppo democratico cessa ogni discriminazione nella concessione del diritto di voto; si ricostituiscono e sviluppano partiti e sindacati; si allargano i servizi sociali.

       Dopo aver illustrato le fasi principali del cambiamento avvenuto

dal i86i a oggi, esaminiamone più attentamente le componenti. Esse

sono quattro:

-      il corpo elettorale;

-      l’organizzazione politica e sindacale;

-      la Costituzione;

-      l’intervento economico e sociale dello Stato.

I sistemi elettorali partecipazione dei cittadini allo Stato

Le elezioni politiche servono per la costituzione di uno degli organi più importanti della Repubblica: il Parlamento, composto di due or­gani in posizione di parità: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica.

Le elezioni politiche hanno la funzione di consentire la scelta di un corpo selezionato che eserciti la funzione legislativa. Esse avven­gono sulla base di modalità studiate per la trasformazione dei voti del cittadino in seggi, indicate dai sistemi elettorali.

Queste modalità possono essere scritte nelle costituzioni o de-mandate alla legge ordinaria.

La Costituzione italiana non prescrive precise regole elettorali. Essa stabilisce, agli artt. 56 e 58, il principio generale che le due Camere sono elette a suffragio universale diretto (in questo caso, suf­fragio significa voto).

Si ha suffragio universale quando tutti i cittadini che hanno capaci­tà giuridica e una determinata età possono esercitare il diritto di voto (senza limitazioni che derivano dal grado di cultura, dal sesso, dalla razza, dal livello dei propri redditi e così via).

Si ha suffragio diretto quando i cittadini che hanno diritto al voto scelgono direttamente i componenti dell’organo da eleggere.

Si ha suffragio indiretto, o elezione in doppio grado, quando i cit­tadini che hanno diritto al voto non scelgono direttamente l’organo, bensì coloro (elettori secondari) che dovranno eleggerlo.

Sono, dunque, le leggi della Repubblica, sulla base dei principi fissati dalla Costituzione, a determinare i modi (individuazione del sistema elettorale) in cui questa scelta deve avvenire.

I sistemi elettorali possono essere congegnati in due modi.

Possono tenere conto solo delle aspirazioni della maggioranza de­gli elettori (sistemi maggioritari). Possono tenere conto anche delle aspirazioni delle minoranze (sistemi proporzionali).

Nel sistema maggioritario tutti i seggi disponibili (ogni seggio equi­vale ad un membro del Parlamento) vanno al partito o ai partiti che hanno raggiunto una certa percentuale di voti o, semplicemente, il maggior numero di voti (maggioranza relativa).

Nel sistema proporzionale anche ai partiti di minoranza è riservato un certo numero di seggi. Nel sistema proporzionale puro un partito usufruisce dei seggi che ha conquistato nel corso della competizione elettorale, senza che sia necessario superare una soglia minima di voti.

Sistema proporzionale corretto. Nell’ambito di questo, va menzionato il sistema proporzionale con premio di maggioranza. In questo, il partito che ha raggiunto una certa percentuale di consensi fissata dalla legge fa scattare un premio di maggioranza che gli consente di godere di un numero di seggi superiore a quello ottenuto con le votazioni. In tal modo, il sistema proporzionale si trasforma in maggioritario11.

Il sistema maggioritario consente di avere in Parlamento uno schieramento politico omogeneo e, quindi, un più facile esercizio del­la funzione legislativa e una maggiore stabilità dei governi.

Riforma dell'Ordinamento della Repubblica

GIOVEDI` 22 GENNAIO 2004

PRESIDENTE. Senatore D’Onofrio, non vedo il senatore Bassanini, il quale peraltro e` informato. Se lo ritiene opportuno, posso sospendere la seduta per cinque minuti, in attesa dell’arrivo del relatore di minoranza.

D’ONOFRIO, relatore. Non ho difficolta` ad iniziare il mio intervento; nel caso arrivi il collega Bassanini, potra`, se lo vuole, svolgere

dopo di me la sua relazione di minoranza.

L’originario testo del Governo, il disegno di legge n. 2544, risulta significativamente modificato in Commissione, ... non si e` trattato di un testo...blindato; e`un testo che e`stato modificato piu` volte. Vedo che sta entrando il collega Bassanini, e lo saluto...

Nella relazione introduttiva in Commissione ho indicato tre questioni di fondo sulle quali il disegno di legge costituzionale del Governo interviene, a mio giudizio positivamente.

Sulla forma di governo il passaggio molto importante e` quello da un sistema in cui vige una pressoche´ integrale sovranita` parlamentare(che ha finora consentito di considerare costituzionalmente legittimo un Governo purche´ avesse una propria maggioranza nelle Camere), ad un sistema nel quale la compagine sottoposta al voto degli elettori non puo` subire modifiche rispetto alla formazione del Governo nell’ambito della legislatura.

Si tratta di una modifica costituzionale molto rilevante, che tende a fare della volonta` degli elettori il punto nevralgico nella formazione dei Governi, compresa la guida del Primo Ministro, formula quest’ultima che si preferisce rispetto a quella tradizionale di Presidente del Consiglio dei ministri.

BASSANINI, relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la stragrande maggioranza degli italiani continua a considerare la Costituzione repubblicana come il fondamento della convivenza comune,la garanzia dei diritti e delle liberta` dei cittadini e delle loro formazioni sociali, il baluardo ancora solido della democrazia italiana. Ma questa convinzione e` fortemente condivisa soprattutto per quanto riguarda i principi fondamentali, i diritti e le liberta` della Parte I della Carta del 1947.

Quanto alla Parte II, e in specie alla disciplina della forma dello Stato e della forma di Governo, gia` oggetto di numerosi interventi riformatori negli ultimi decenni, e`viceversa convinzione diffusa ancorche´ non unanime che occorra completare la troppo lunga transizione istituzionale italiana, mediante un’opera di aggiornamento e revisione delle sue disposizioni.Anche a questo riguardo occorre certo prudenza e cautela. Come e`stato detto: le Costituzioni nascono per essere durevoli, anche se accade talora che non durino. Il compito di una Costituzione non e` quello di inseguire i mutamenti, ma di assicurare la stabilita`. La prova della «bonta`» di una Costituzione sta nella sua longevita`. Mentre rispetto alla legislazione ordinaria c’e`, per così dire, una presunzione di necessita` di continuo adeguamento, rispetto alla Costituzione vale la presunzione inversa, perche´ ad essa si richiede proprio di contenere il fluire delle leggi fissandone i limiti invalicabili.Ma anche in quest’ottica, e dunque adottando una linea di prudenza e cautela, non si puo` non riconoscere che la seconda parte della nostra Costituzione abbisogna di alcuni aggiornamenti e correzioni. Essi si rendono opportuni per completare, integrare – e, in qualche punto, correggere – la riforma dello Stato in senso federale avviata nella scorsa legislatura; per adeguare il sistema delle garanzie democratiche e costituzionali ai profondi mutamenti gia` intervenuti nella struttura del nostro sistema istituzionale; per dotare il nostro Paese di una forma di governo piu` efficace e democratica, e dunque effettivamente piu` capace di garantire partecipazione dei cittadini, rappresentativita` delle istituzioni, tempestivita` ed efficienza nell’azione di governo per la tutela degli interessi generali.Da un lato, infatti, la riforma del Titolo V sconto` fin dall’inizio la necessita` di successive integrazioni, in specie per quanto concerne la riforma del Senato, ed anche di aggiustamenti e correzioni, poiche´ nessuna riforma di grande respiro nasce perfetta dalla testa del legislatore. Dall’altro, il contesto nel quale alla Costituente furono definiti il sistema delle garanzie e la forma di Governo e`consistentemente cambiato. Sul terreno istituzionale, e` appena il caso di ricordare che la Costituente lavoro` su due presupposti: che per la legge elettorale sarebbe stato adottato un sistema proporzionale (ordine del giorno Giolitti) e che la forma dello Stato sarebbe stata unitaria e accentrata, sia pure con largo riconoscimento delle autonomie regionali e locali.

Ora, non vi e` chi non veda che l’adozione di sistemi elettorali maggioritari e di una forma di Stato ispirata al modello federale non puo` non imporre modifiche profonde del sistema delle disposizioni costituzionali relative alla forma di Governo, allo statuto dell’opposizione, alle garanzie democratiche e costituzionali

Questi nodi sono, a nostro avviso, essenzialmente tre; su tutti e tre,purtroppo, la distanza tra il progetto dell’opposizione e il testo al nostro esame e` molto forte.

Cominciamo con l’esaminare le questioni della forma di Governo e delle garanzie democratiche e costituzionali. Noi vogliamo una forte democrazia governante. Istituzioni forti sono meglio in grado di risolvere i problemi dei cittadini. Ma la forza nasce dal consenso, dalla legittimazione delle istituzioni e dalla loro capacita` di interpretare attese e domande sociali, non solo dalla loro capacita` di decidere e di attuare le decisioni prese.

Siamo dunque per un sistema che consenta agli elettori di decidere sul programma, sulla maggioranza, sul Governo del Paese e che dia alla maggioranza e al Governo gli strumenti per realizzare il programma approvato dagli elettori.

Ma, nel contempo, la Costituzione deve stabilire con chiarezza i limiti del potere della maggioranza e del Governo e i limiti della politica. La dittatura della maggioranza non e` compatibile con la democrazia.

Da Montesquieu in poi questo e` il cuore delle Costituzioni democratiche e liberali: i limiti della politica, da un lato, i limiti della maggioranza, dall’altro, sono essenziali per dare a tutti la certezza che i diritti e le liberta` di ognuno non sono minacciati, che le regole e i principi della democrazia non sono alla merce´ di chi ha vinto le elezioni.

Le regole, i diritti, le liberta` dei cittadini non sono appannaggio del vincitore: questa certezza e questa sicurezza sono il cuore della democrazia e del costituzionalismo moderno.

Presidenzialismo sul modello americano, cancellierato sul modello tedesco, premiership britannica, semipresidenzialismo francese: ciascuno di questi modelli da` forza al Governo, stabilita` alle maggioranze, legittimazione alle istituzioni, ma ciascuno prevede checks and balances, contrappesi e garanzie efficaci, argini al potere di chi ha vinto, garanzie della democraticita` del sistema e del pluralismo istituzionale.

E `vero che la democrazia e` forte se e` in grado di prendere rapidamente le decisioni necessarie. Ma lo e`se lo fa con il consenso dei cittadini,se garantisce adeguati controlli sull’esercizio del potere, se assicura un equilibrato pluralismo fra le istituzioni. Se cio` non accade, alla lunga non sapra` neppure prendere le decisioni giuste, ne´ sapra` farle rispettare.

La personalizzazione della politica e` un fatto con cui le istituzioni debbono fare i conti, non e` un valore da promuovere fino all’esasperazione.

Non basta la legittimazione elettorale per rendere democratica una forma di Governo: la storia e` ricca, ahime´, di dittatori eletti. E neppure e` vero che la concentrazione dei poteri nelle mani di un capo e`un buon principio di sociologia dell’organizzazione praticata in tutte le aziende private. Vale forse per le imprese a conduzione familiare, gestite direttamente dal proprietario, ma nelle grandi imprese si usa dividere le deleghe tra piu` amministratori o almeno sottoporle all’indirizzo e al controllo di organi collegiali.

Ci siamo dichiarati per questo disponibili a ragionare su tutti i modelli democratici a disposizione, compreso il presidenzialismo americano; non siamo disponibili invece a mischiarli insieme per dare al Capo del Governo i poteri di Bush e di Blair, senza alcuno dei contrappesi e delle garanzie proprie, in varie forme, dell’uno o dell’altro modello.

Abbiamo espresso una preferenza per il modello britannico: prevediamo di dare al Primo Ministro tutti i poteri e le prerogative che ha il Primo Ministro inglese; di consolidarli in disposizioni costituzionali; di aggiungere una norma antiribaltone per cui, se cambia sostanzialmente la maggioranza espressa dalle elezioni, si torna a votare. Ma siamo contrari ad ogni ulteriore rafforzamento dei poteri del Governo e del Primo Ministro se non si risolvono contestualmente i problemi dell’adeguamento al bipolarismo maggioritario del sistema delle garanzie democratiche e costituzionali, del pluralismo dell’informazione, dello statuto dell’opposizione, del conflitto di interessi.

Il nostro sistema costituzionale, comparato con quello delle altre grandi democrazie, presenta anomalie rilevanti innanzitutto sui terreni ora ricordati.

La legge elettorale maggioritaria e le riforme degli anni Novanta hanno gia` dato agli Esecutivi regionali, locali e nazionali poteri e strumenti piu` forti per governare, ma non hanno introdotto i checks and balances, i contrappesi propri delle altre democrazie.Proprio per questo, la nostra proposta e`dedicata in parte notevole all’adeguamento delle garanzie costituzionali e democratiche. Si apre con disposizioni sul pluralismo dell’informazione e sul conflitto di interessi; prosegue alzando a due terzi la maggioranza necessaria per modificare la Costituzione, come per esempio in Germania e negli Stati Uniti; prevedendo maggioranze qualificate per l’elezione degli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Presidenti delle Camere) e per modificarei Regolamenti parlamentari.

Le attuali maggioranze furono infatti previste da una Costituente che ragionava sulla base di una legge elettorale proporzionale, dove nessuno puo` raggiungere la maggioranza assoluta in Parlamento senza averla ottenuta anche nel voto degli elettori. Ma così non e`nel sistema maggioritario, dove chi vince, magari con il 40 per cento dei suffragi, puo` avere anche piu` del 55 per cento dei seggi in Parlamento.

Ancora: il nostro progetto definisce le linee di un efficace statuto dell’opposizione, assicura l’effettiva indipendenza della magistratura e delle autorita` indipendenti, potenzia il ruolo di controllo del Parlamento, sul modello britannico e americano, ripristina le condizioni per un uso efficace del referendum abrogativo, potenzia gli strumenti della democrazia partecipativa.

C’e` qualcosa di tutto cio` nel progetto al nostro esame? Praticamente nulla. Si accrescono a dismisura i poteri del Primo Ministro, neppure si sfiora il problema dei contrappesi e delle garanzie. Al contrario: si mettono le mani dei partiti della maggioranza sulla Corte costituzionale, si fa del Capo dello Stato e dei Presidenti delle Camere organi di parte, e stupisce che mentre il Ministro dell’economia propone, giustamente, una garanzia dell’imparzialita` dei membri delle Autorita` indipendenti ottenuta attraverso maggioranze qualificate nel voto parlamentare, viceversa questo lo si neghi ad organi di garanzia per eccellenza, come e` , in primo luogo, il Capo dello Stato.Come abbiamo detto, noi vogliamo una democrazia governante, siamo per dare al Primo Ministro poteri piu` forti, in qualche misura anche un po’ oltre il limite del sistema britannico.

Veniamo ora alla terza parte concernente la riforma dello Stato e del Parlamento. Siamo per completare e anche per correggere ed aggiustare,dove necessario, perche´ come dicevo nessuna riforma nasce perfetta, la riforma federale, ma secondo il modello del federalismo cooperativo e solidale senza mettere a rischio l’unita` d’Italia.

Vogliamo un federalismo che funzioni sul modello delle grandi esperienze federali straniere, dunque nella consapevolezza che il sistema federale serve per unire i diversi, per fare della diversita` una ricchezza comune – e pluribus unum – non per contrapporre, separare e dividere.

Dunque, pensiamo ad un Senato che sia il luogo del confronto democratico e dell’armonizzazione fra le ragioni della diversita` e gli interessi generali.


Il progetto di riforma in sintesi.


2.1. Articolazione e composizione del Parlamento (artt. 55 64).


Il Senato della Repubblica diventa «Senato federale* (art. 55). Viene ridotto il numero dei parlamentari: da 630 a 518 i deputati e da 315 a 252 i senatori (artt. 56 e 57)12 (1). Il numero dei deputati, non più senatori, a vita, nominati dal Presidente della Repubblica, viene limitato a 3 (art. 59). ~


Il Senato è eletto su base regionale, come già prescrive la Costituzione vigente. Rimangono invariati il numero dei senatori della Valle d'Aosta (uno) e del Molise (due), mentre il numero minimo di senatori per ciascun altra Regione passa da sette a sei.


La caratterizzazione in senso federale>> del Senato emerge dalla disposizione che prevede che i senatori siano eletti in ciascuna Regione conte8tualmente all'elezione dei Consigli regionali. Per ciascuna regione, un rappresentante del Consiglio regionale e uno del Consiglio delle autonomie locali partecipano all'attività del Senato, senza diritto di voto (art. 57).


Inoltre, si stabilisce che le deliberazioni del Senato siano valide solo se sono presenti senatori di almeno un terzo delle Regioni (art. 64).


L'eleggibilità a senatore (art. 58), nel testo originariamente proposto dal Governo, era limitata a chi avesse ricoperto cariche elettive in enti territoriali locali o regionali all'interno della Regione o fosse stato eletto senatore e deputato nella Regione stessa. In Commissione al Senato si è aggiunto, in alternativa, il criterio della residenza nella Regione (rendendo così quasi pleonastici i criteri precedenti).


La durata resta di 5 anni per la Camera, per i senatori è quella dei relativi Consigli regionali (art. 60).


2.2. Le funzioni legislative di Camera e Senato (art. 70).


Il vigente art. 70 stabilisce il sistema di bicameralismo perfetto che caratterizza il nostro ordinamento: «Lafunzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere». Il nuovo art. 70 è alquanto complesso (cfr. allegato) e si collega alla ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni di cui all'art. 117, come riformato dalla legge costituzionale n. 1/2001. In sintesi, sono definite tre modalità di svolgimento della funzione legislativa:


a) con predominanza della Camera, per le materie di legislazione esclusiva dello Stato (con le due eccezioni della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e dell'ordinamento degli Enti locali di cui si dirà al punto e) più avanti);


b) con predominanza del Senato, per la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente (per le quali, secondo l'art. 117 «spetta, alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato»);


e) esercitata collettivamente dalle due Camere per d.d.l. concernenti, tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, 1) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale e 2) la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e l'ordinamento della Capitale, e, inoltre, 3) il federalismo fiscale (le materie di cui all'art. 119, che comprendono l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli Enti territoriali, la perequazione delle risorse finanziarie, le risorse aggiuntive statali per promuovere sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale, per rimuovere squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona), 4) l'esercizio dei poteri sostìtutivi dello Stato nei confronti degli Enti territoriali (art. 120, e. 2), 5) il sistema di elezione di Camera e Senato, 6) alcune materie per le quali la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato13 (2).


La predominanza di un ramo sull'altro (modalità sub a e b) riguarda la risoluzione di eventuali difformità di opinione. Così, per le materie di legislazione esclusiva dello Stato (modalità sub a), i d.d.l. sono esaminati dalla Camera.Dopo l'approvazione, vengono trasmessial Senato che, entro 30 giorni (15 giorni se si tratta di d.d.l. di conversione di decreti legge), può proporre modifiche su cui,la Camera decide in via definitiva. Per le materie di legislazione concorrente (modalità sub b) è prevista una procedura simmetrica, in cui la decisione definitiva è demandata al Senato. La predominanza del Senato è, tuttavia, fortemente attenuata dalla presenza di un'eccezione, che si verifica qualora il Governo ritenga che proprie modifiche, approvate dalla Camera, a un d.d.l. sottoposto al Senato siano essenziali per l'attuazione del proprio programma o per la tutela delle esigenze di cui all'art. 120 (quelle che giustificano l'esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni e degli Enti locali: mancato rispetto di norme e trattati internazionali, pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica, unità giuridica ed economica, in particolare per i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale). In questi casi, il Primo ministro, prevìa autorizzazione del. Presidente della Repubblica, può esporre al Senato le modifiche proposte dal Governo. Se il Senato non accetta tali modifiche (e ha trenta giorni di tempo per farlo), il d.d.l. viene sottratto alla competenza del Senato stesso e attribuito a quella della Camera, che decide in via definitiva (a maggioranza assoluta dei suoi componenti)14 (3).


Nelle materie in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (modalità e), i d.d.l. vengono sempre esaminati da entrambi i rami. Tuttavia, rispetto alla situazione odierna, vi è una novità, la cui portata non è peraltro molto chiara: la possibilità di interrompere la «navetta* di un d.d.l. da un ramo all'altro con una procedura di riconciliazione. Infatti, nel caso le due Camere approvino testi diversi di un d.d.l., i Presidenti delle Camere possono convocare una Commissione mista paritetica (trenta deputati e trenta senatori, designati sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere), incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto delle due Assemblee

Su eventuali, questioni, di competenza fra le due Camere (vale a dire, sull'attribuzione.di:un particolare d.d.l., a una delle tre modalità sopra esposte) decidono i Presidenti di Camera e Senato. Essi possono deferire la decisione a un Comitato paritetico (4 deputati e 4 senatori ,designati sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere). La decisione dei Presidenti o del Comitato non è sindacabile in alcuna sede» (art. 70, e, 6). Va infine segnalata l'affermazione del,principio secondo cui un disegno di legge non può contenere disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi (art. 70, e. 6).


1 2~3. Distribuzione della potestà legislativa tra Stato e Regioni (artt. 117 118).


La modifica più rilevante (la cosiddetta devolution) investe l'art. 117. Nella formulazione vigente, accan to alle nozioni di legislazione esclusiva dello Stato e di legislazione concorrente, è già presente la nozione di potestà legislativa esclusiva delle Regioni contenuto residuale (<ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato»). Nel nuovo testo, si aggiungono in modo esplicito le seguenti quattro materie:

a) assistenza e organizzazione sanitaria;

b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;

e) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse della Regione;

d) polizia amministrativa regionale e locale.

D'altro canto, alcune materie di legislazione concorrente nella Costituzione vigente vengono attribuite alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, e. 2): le norme generali di tutela della salute, sicurezza e qualità alimentari, la sicurezza del lavoro, l'ordinamento della capitale (5), le grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento

delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo nazionale, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia.


Una seconda modifica riguarda l'art. 118, che attualmente attribuisce le funzioni amministrative ai Comuni (fatto salvo il principio di sussidiarietà) e stabilisce che la legge statale disciplini forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie 1) dell'immigrazione, 2) dell'ordine pubblico e sicurezza ad esclusione della polizia amministrativa locale 3) della tutela dei beni culturali (le prime due sono materie di legislazione esclusiva dello Stato, la terza di legislazione concorrente). Nel nuovo testo si aggiungono all'eleneo: 4) le grandi reti di trasporto e navigazione di interesse nazionale (di legislazione esclusiva dello Stato) e 5) la ricerca scientifica e tecnologica (di legislazione concorrente).


Sempre nell'ambito del coordinamento tra Stato e Regioni, è di rilievo la rilevanza costituzionale attribuita alla Conferenza Stato Regioni (art. 118, e. 3) e ad altre Conferenze tra lo Stato e gli Enti territoriali <per realizzare la leale collaborazione e promuovere accordi e íntese*.


Nella Costituzione vigente, l'art. 118 afferma il principio di sussidiarietà come base della promozione da parte dello Stato e degli enti territoriali «dell'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale». Il testo della riforma aggiunge, sempre sulla base del principio di sussidiarietà, la promozione dell'autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale, dando così un fondamento costituzionale al decentramento funzionale, oltre a quello territoriale.


La novità forse più importante e, come vedremo (nel § 6), sorprendente è, comunque, quella che compare nelle disposizioni transitorie (d.d.l. costituzionale, art. 57, Federalismo fiscale e finanza statale), dove si afferma che «in nessun caso l'attribuzione dell'autonomia impositiva ai Comuni, alle Province alle Città metropolitane e alle Regioni può determinare un incremento della pressione fiscale complessiva».




internazionale e dall’ordinamento sindacale, l’uno più ampio, l’altro più ristretto dello Stato.

L’ordinamento internazionale si è andato sviluppando specialmente in questo secolo. Ne fanno parte come soggetti, in particolare, gli Stati (che, pur essendo ordinamenti a loro volta, entrano, così, a far parte di un ordinamento giuridico più ampio). Sono, poi, numerose le organizzazioni internazionali come, ad esempio, l’Organizzazione delle nazioni unite (ONU). E ampio è il numero delle norme che regolano l’azione dei soggetti internazionali.

L’ordinamento sindacale si è sviluppato, in Italia, dopo la seconda guerra mondiale. Ne fanno parte, come soggetti, i lavoratori, i datori di lavoro e i sindacati (questi ultimi sono associazioni non riconosciute). I sindacati hanno proprie organizzazioni e stipulano “contratti” che si applicano, come norme, ai lavoratori e agli imprenditori, per definirne diritti e doveri reciproci.


Gli elementi degli ordinamenti giuridici

 

Dalla definizione di ordinamento giuridico si è compreso che tre sono gli elementi indispensabili dell’ordinamento:

—                  pluralità di soggetti;

—                  sistema di norme;

—                  organizzazione.


Organizzazione Attiene al modo in cui le funzioni sono ripartite ed esercitate all’interno dell’ordinamento. Per lungo tempo l’organizzazione è stata considerata un aspetto secondario, essendo diffusa l’opinione che essa non interessasse la scienza del diritto e che non fosse elemento costitutivo degli ordinamenti giuridici.

Ridotta al suo nucleo essenziale, l’organizzazione è un disegno permanente15 che prevede l’esistenza e il funzionamento di organi, di enti e di uffici. Di questi sono disciplinate, all’interno del disegno organizzativo, la competenza e l’attività.



I rapporti tra gli ordinamenti giuridici

 

Gli ordinamenti giuridici, pur essendo diversi l’uno dall’altro, non sono posti, tra loro, nella stessa posizione. Mentre alcuni sono equiordinati, altri sono, invece, subordinati.

I primi, cioè, sono tra loro separati, i secondi invece sono collegati, nel senso che uno di essi deve rispettare almeno alcune regole fondamentali dell’altro. Ad esempio, i rapporti degli ordinamenti statali tra di loro sono, di regola, di equiordinazione; ciascuno Stato è indipendente dall’altro e ne riconosce, a condizioni di reciprocità, alcune regole.

Invece, il rapporto tra l’ordinamento sindacale e quello statale è di subordinazione.

Proprio perché l’ordinamento giuridico è più sviluppato e complesso, lo Stato è, di solito, oggi, l’ordinamento che prevale sugli altri. Esso  si dice  non ha un ordinamento superiore, è sovrano. In realtà come vedremo meglio più avanti questo è stato vero per alcuni secoli, da quando è nato lo Stato moderno (Cinquecento - Seicento) alla metà del nostro secolo. Oggi, la situazione va cambiando, perché l’ordinamento statale cede, da una parte, funzioni e poteri a quello internazionale e riconosce, dall’altra, nel suo ambito territoriale, ordinamenti e gruppi portatori di interessi sociali (come i sindacati).

 

Le fonti del diritto

 

Per fonte del diritto si intendono gli atti di produzione normativa, e cioè quegli atti che pongono proposizioni giuridiche.

Le fonti si classificano, secondo una scala gerarchica, in:

—                  costituzionali;

—                  primarie;

—                  subprimarie;

—                  secondarie.

La scala gerarchica è strettamente vincolante, per cui, in primo luogo, una norma posta su un livello non può essere modificata se non da una norma dello stesso livello (o di livello superiore); e, in secondo luogo, le norme del livello inferiore debbono conformarsi a quelle del livello superiore.

Le fonti costituzionali sono di due tipi:

—                  principi istituzionali fondamentali e non modificabili. Ad esempio, quello sancito nell’ultimo articolo della Costituzione (art. 139), per cui «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale». La trasformazione della Repubblica in Monarchia comporterebbe una modificazione così profonda da costituire un rivolgimento costituzionale;

—                  la Costituzione, entrata in vigore il Io gennaio i 948 e le leggi costituzionali (art. 138 Cost.). La Costituzione e le leggi costituzionali sono leggi, ma hanno una particolare forza, che deriva loro dalla speciale procedura di approvazione e di modificazione (doppia deliberazione in ciascun ramo del Parlamento, di cui la seconda a maggioranza as­soluta dei componenti) e dal controllo della Corte costituzionale (che assicura la conformità delle leggi ordinarie alla Costituzione e alle leggi costituzionali). Per questi motivi, la Costituzione viene detta rigida, mentre lo Statuto albertino, che poteva essere modificato con legge ordinaria, era una costituzione flessibile.

 

Le fonti comunitarie

 

Nella gerarchia delle fonti, si sono inserite le fonti comunitarie. Queste hanno acquisito preminenza nei confronti del diritto interno. L’unico loro limite è quello del rispetto dei principi fondamentali della Costituzione e dei diritti inviolabili dell’uomo.

A queste conclusioni la Corte costituzionale italiana e la Corte di giustizia europea sono pervenute dopo una lunga evoluzione.


La divisione dei poteri: nozione e origine storica

 

La divisione dei poteri può essere formulata in modo molto semplice. Negli Stati moderni, si realizza una sorta di divisione dei compiti fra tre apparati:

—                                                                                               le assemblee legislative, che adottano i precetti generali e astratti (norme);

—                                                                                               l’apparato esecutivo, che esegue e attua la politica statale;

—                                                                                             il potere giudiziario, che giudica le controversie tra cittadini.

 

 

Questa teoria ha origine storiche ben precise e risale nella sua for­mulazione a Montesquieu (1748). Quest’autore notò, nel Settecento, che in alcuni Stati, e specialmente in Inghilterra, alla Corona e alla nobiltà, tradizionali detentori del potere governativo (che fu poi defi­nito esecutivo), si afliancava un Parlamento, composto dai rappresen­tanti della borghesia, che controllava l’azione del potere governativo specialmente mediante lo strumento dell’approvazione dei bilanci che fornivano i mezzi per l’attività della Corona. E si affiancava inoltre la giurisdizione, formata in gran parte con uomini che provenivano an­ch’essi dalla borghesia e sottratta agli interventi sia del potere legisla­tivo, sia del potere governativo. All’origine, dunque, la divisione dei poteri era una sorta di divisione dei compiti fra strati sociali, oltre che tra organismi pubblici.

 

In tempi successivi la divisione dei poteri diventa una cosa diversa:

è solo un principio di distribuzione delle funzioni tra gli organi (o gli apparati).La divisione dei poteri è un criterio di organizzazione dello Stato. Tuttavia essa non ha più un valore assoluto, ma relativo e tendenziale.

Caratteristiche della divisione dei poteri, oggi sono:

— la divisione tendenziale dei compiti tra gli organi di vertice;

— il reciproco bilanciamento e controllo tra tali organi.

La funzione di indirizzo politico

 

La funzione di indirizzo politico. La formulazione tradizionale della divisione dei poteri lascia fuori quest’altro settore importante dell’attività statale.

L’importanza: è il programma di governo che elenca le leggi e gli altri provvedimenti che il governo intende prendere. e vi sono altre attività che non possono essere classificate in nessuno dei tre tradizionali poteri, ma che ne rappresentano l’antecedente e li sovrastano.

Democrazia diretta e democrazia indiretta (o delegata)

Come s’è detto per il principio della divisione dei poteri, anche per la contrapposizione Stato-società civile deve aggiungersi che questa non è scomparsa, si è solo andata attenuando. Infatti, non solo rimangono settori nei quali il potere pubblico agisce necessariamente come autorità (ad esempio, l’ordine pubblico), ma anche là dove es­so agisce come erogatore di beni o servizi a favore di privati si creano talvolta nuove forme di autorità.

Un modo per diminuire il distacco che si crea tra Stato e cittadi­ni è costituito dagli strumenti di democrazia indiretta: in primo luogo, dall’elezione dei titolari degli organi principali dello Stato. Gli ordinamenti moderni (e così anche quello italiano) circondano le elezioni di una serie di minute garanzie (le vedremo, in particolare, quando si parlerà del corpo elettorale e del sistema elettorale), per assicurare che esse svolgano il compito di unione tra Stato e società.

Più difficile è la democrazia diretta, che non opera tramite altre persone (gli eletti), ma consente alla stessa società civile di prendere

le decisioni che la riguardano. Questa, però, può realizzarsi in ordinamenti ristretti (ad esempio, in Svizzera), mentre incontra difficoltà notevoli in ordinamenti con decine di milioni di cittadini. Vedremo però che, pur con molte cautele, nel nostro ordinamento è stato introdotto, dalla Costituzione, il referendum o deliberazione popolare diretta.


Le forme di Stato: evoluzione storica dei tipi di Stato

 

Esaminata la nozione di Stato e le sue varie componenti, passiamo ora ad analizzarne le varie specie. Gli Stati possono essere più o meno accentrati, più o meno democratici, più o meno autoritari ecc. Le diversità sono molte, perché l’assetto degli Stati dipende dalla classe dirigente, dalle tradizioni, dalle condizioni economiche del Paese, dai vincoli internazionali ecc. Per ragioni di comodo, tuttavia, gli studiosi hanno isolato alcuni elementi caratteristici, costruito alcuni tipi ideali e confrontato gli Stati con tali tipi. È in tal modo che sono classificate le forme di Stato. È bene avvertire, tuttavia, che i tipi o forme di Stato sono modelli ideali, ai quali gli Stati realmente esistenti si avvicinano, senza però identificarsi completamente con essi.

Le principali forme di Stato attuali

 

Le principali forme di Stato attuali sono:

a) in relazione all’equilibrio e alla distribuzione dei poteri pubblici sul territorio, unitarie, federali e regionali;

b) in relazione ai rapporti tra società e Stato, democratiche e autorita­ne;

c) in relazione all’assetto dei rapporti economici, capitalistiche e so­cialiste.

Gli Stati unitari (di cui il principale esempio è stato a lungo la Francia; peraltro, in questo Paese sono state recentemente introdotte 22 Regioni) sono caratterizzati da un apparato amministrativo centra­le e periferico dipendente, in larghissima parte, dal governo centrale, posto nella capitale. Gli Stati federali, invece, sono costituiti da Stati membri (o Stati federati) e da uno Stato federale. Gli Stati membri mantengono la loro supremazia nel proprio ambito (cosiddetta sovra­nità interna). Solo lo Stato federale, però, agisce all’esterno per la difesa e i rapporti internazionali (cosiddetta sovranità esterna). Sono Stato federale gli Stati Uniti d’America (USA). Gli Stati regionali costi­tuiscono una forma intermedia: il potere è distribuito, all’interno, tra enti detti Regioni, con organi elettivi e autonomi; al centro, però, vi è uno Stato con poteri di indirizzo e coordinamento, che si riserva la maggior parte delle funzioni pubbliche. L’Italia ha, a partire dal 1970, una struttura regionale.

Occorre avvertire che le differenze tra i due tipi esposti si sono andate molto attenuando, nei fatti. Ad esempio, negli Stati Uniti il governo federale ha propri uffici nel territorio degli Stati membri, in­vadendo, quindi, la cosiddetta sovranità interna di questi. Gli Stati unitari, a loro volta, riconoscono e garantiscono forme di autonomia subregionale, come quella dei Comuni e delle Province.

Gli Stati democratici sono caratterizzati dalla composizione rappre­sentativa degli organi deliberativi (il Parlamento) e, quindi, dalla so­vranità popolare. Peraltro, vi sono Stati che, pur ammettendo l’eletti­vità del Parlamento, non consentono a tutte le persone fisiche al di sopra di una certa età di partecipare alle votazioni (cosiddetto suffra­gio limitato o ristretto). L’elezione popolare del Parlamento, però, non basta. Occorrono anche altri elementi per caratterizzare uno Sta­to come democratico: libertà di formazione e di iscrizione ai partiti, libertà di stampa, libertà di manifestazione del pensiero ecc. Gli Stati non democratici si definiscono autoritari. Di solito, gli Stati autoritari sono retti da una persona o da un gruppo di persone non elette (dit­tatore, giunta militare ecc.), che controllano il potere esecutivo e la­sciano scarsa o nessuna libertà.

Gli Stati democratici (più di quelli autoritari) presentano molte varianti. Tra gli Stati democratici vanno segnalate, in particolare, le democrazie pluraliste. Queste integrano il rapporto governanti-gover­nati, stabilito con le elezioni, con un sistema di poteri contrapposti (detti anche controlli e contrappesi o contropoteri). Essi servono ad arricchire la democrazia, ma anche a temperarla, perché anche una maggioranza democraticamente eletta può trasformarsi in una dittatu­ra elettiva.

Gli ultimi tipi di Stato sono quelli capitalistico e socialista. Si defniscono capitalistici gli Stati caratterizzati dalla proprietà privata dei mezzi di produzione e, in particolare, delle imprese. Peraltro, in mol­ti Stati capitalistici, come quello italiano, accanto a un settore econo­mico privato, vi è un più o meno esteso settore economico pubblico, costituito da imprese nazionalizzate, da società con partecipazione statale, da imprese municipalizzate. Negli Stati socialisti, l’economia è quasi interamente controllata dallo Stato. Questo è proprietario, di regola, di terreni, impianti ed edifici, gestisce direttamente le impre­se; programma, dal centro, con piani quinquennali, le attività econo­miche. Anche negli Stati socialisti, peraltro, vi sono, sia pur in ambiti molto limitati, diritti economici dei privati. Ad esempio, questi pos­sono essere proprietari, a titolo individuale, di un’abitazione e posso­no avere, a titolo individuale o collettivo (e cioè insieme con altri), terreni produttivi a uso agricolo.

Peraltro, anche la contrapposizione tra Stati capitalistici e Stati socialisti si va attenuando. Non solo come s e detto nei primi vi sono proprietà e imprese pubbliche ma, in essi, si sono diffusi stru­menti pubblici di controllo e direzione di attività private. Basti ricor­dare che, negli Stati capitalistici, organi pubblici centrali stabiliscono programmi per l’economia, guidano e controllano il credito, fissano d’autorità. il prezzo di alcuni beni, controllano l’edificazione dei suoli ecc.

La contrapposizione tra Stati capitalistici e Stati socialisti, inoltre, ha perduto l’interesse che aveva con la dissoluzione della Unione del­le Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS) e l’introduzione in Russia dell’economia di mercato.

Le Caratteristiche dello Stato italiano

 

Viste le nozioni e i cosiddetti elementi costitutivi dello Stato, nonché i   diversi tipi di Stati, esaminiamo le caratteristiche dello Stato italiano o come si dice di solito la forma di Stato vigente oggi in Italia. Lo Stato italiano è:

repubblicano. Ciò vuol dire che capo dello Stato è una persona eletta periodicamente e non un membro di una famiglia (detta casa regnante o casa reale). Come si è visto, la Costituzione, nell’ultimo articolo, dispone che «la forma repubblicana non può essere oggetto di revisione costituzionale»;

democratico. L’art. i della Costituzione dice: «L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro». È democratico un ordina­mento governato dal popolo. A esso sono attribuiti diritti (di voto, ad esempio) e libertà (di manifestazione del pensiero, ad esempio). L’opposto di uno Stato democratico è lo Stato autoritario, quale si ebbe, in Italia, durante il periodo fascista: lo Stato autoritario limita le libertà, toglie la sovranità al popolo e rafforza l’autoritarismo dei poteri pubblici;

regionale. È tale perché, oltre allo Stato centrale, vi sono in periferia venti Regioni, che sono, come lo Stato, enti pubblici, governati da corpi elettivi, con potere legislativo;

pluralista. E tale perché la Costituzione, con l’art. 2, fa carico alla Repubblica di garantire «le formazioni sociali nelle quali si svolge la personalità dell’uomo». In passato, nelle Costituzioni erano considerati solo gli individui, ai quali soltanto si garantivano diritti nei confronti dello Stato (cosiddetto individualismo). La Costituzione italiana garantisce anche i gruppi e le formazioni sociali.

Quest’ultima caratteristica (pluralismo sociale) è accentuata grazie al pluralismo politico (indipendenza dell’ordine giudiziario; esistenza di un giudice delle leggi la Corte costituzionale —; esistenza di poteri indipendenti ecc.). Grazie al pluralismo politico, l’attività pubblica non è tutta attratta nella sfera di influenza del governo.

 

Stato e ordinamento internazionale

 

La Costituzione (art. II) prevede che l’Italia:

        consenta, a condizioni di parità con altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie a un ordinamento che assicuri la pace e la giusti­zia tra le nazioni;

        promuova e favorisca le organizzazioni internazionali rivolte ad as­sicurare la pace e la giustizia tra le nazioni.

È su questa base che lo Stato italiano stringe accordi con altri Stati e dà vita a organizzazioni internazionali.

Le organizzazioni europee

 

Numerosi accordi stipulati tra i Paesi europei hanno dato vita a una serie di organismi, alcuni dei quali di importanza considerevole.

Il più vecchio tra questi organismi è il Consiglio d’Europa, che ha il fine di promuovere l’unità politica europea. Il Consiglio risale al 1949 e va segnalato per l’attività svolta in due settori:

— nel campo del coordinamento di alcune parti della legislazione dei Paesi membri, attraverso l’elaborazione dei trattati internazionali (ad esempio, in materia di estradizione), trattati che, tuttavia, non tutti gli Stati hanno ratificato;

— nel campo della protezione dei diritti dell’uomo.

L’Unione europea

 

Il    Trattato di Maastricht configura l’Unione in modo molto comples­so. Esso sovrappone alle Comunità europee un ‘Unione politica. Que­sta si occupa di politica estera, sicurezza comune, giustizia, affari esterni. Le Comunità, invece, si occupano di economia.

La Convenzione europea, i cui lavori hanno preso inizio sotto la presidenza di Valéry Giscard D’Estaing il 28 febbraio 2002, si componeva di 105 membri in rappresentanza dei governi degli Stati membri e dei paesi candidati all’adesione, dei loro parlamenti nazionali, del Parlamento europeo e della Commissione europea.

Dopo sedici mesi di lavoro serrato, tra giugno e luglio 2003 la Convenzione
europea ha approvato per consenso un progetto di trattato che istituisce
una costituzione per l’Europa.

La costituzione16 europea è stata firmata dai capi di Stato e di governo dei 25 Stati membri a Roma, il 29 ottobre 2004. (Trattato costituzionale17)

Le fasi principali dell’evoluzione politica e sociale

 

Questo cambiamento ha le sue radici nell’allargamento della partecipazione dei cittadini allo Stato attraverso il voto, la presenza nei partiti e nei sindacati, la discussione politica pubblica ecc. Più i cittadini sono divenuti attivi e si sono organizzati in associazioni, partiti e sindacati, meglio essi hanno potuto esprimere richieste essenziali, come diritto di voto, diritto di istruzione, assistenza sociale, interventi statali nell’economia. Col crescere, dunque, della partecipazione, da una parte, lo Stato diveniva più democratico; dall’altra, si allargavano le sue funzioni.

Tutto questo, però, non è avvenuto seguendo uno sviluppo lineare e progressivo: vi sono stati periodi in cui il cambiamento è stato più rapido e periodi in cui esso è stato più lento. E vi è stato anche un periodo che, per molti aspetti, ha rappresentato un passo indietro. Per questo motivo, bisogna distinguere il secolo che va dal 1861 (proclamazione dell’Unità d’Italia) ai nostri giorni in quattro fasi.

1.       La fase oligarchica (dal 1861 alla fine del secolo scorso). Come dice la parola “oligarchia” (che significa “governo di pochi”), questa fase è caratterizzata da cauti e limitati aumenti del numero delle persone che possono votare; dall’assenza di partiti e sindacati; dal predominio del liberismo economico, favorevole alla libertà delle industrie private.

2.   La fase liberale-democratica (dagli inizi di questo secolo fino al 1922): un periodo di forte sviluppo, nel quale si assicurano le libertà fondamentali, si affacciano e rafforzano partiti e sindacati, si allarga il numero degli elettori, si mettono le basi dell’intervento economico e sociale dello Stato.

3.  Il fascismo (1922-43): cessano le principali libertà e non si Svolgono più elezioni democratiche; vengono vietati partiti e sindacati, con l’eccezione di quelli fascisti; si afferma lo Stato autoritario.

4.    Il periodo repubblicano: ha inizio con la caduta del fascismo (1943)e la proclamazione della Repubblica (1946). Con il periodo di maggior sviluppo democratico cessa ogni discriminazione nella concessione del diritto di voto; si ricostituiscono e sviluppano partiti e sindacati; si allargano i servizi sociali.

       Dopo aver illustrato le fasi principali del cambiamento avvenuto

dal i86i a oggi, esaminiamone più attentamente le componenti. Esse

sono quattro:

-      il corpo elettorale;

-      l’organizzazione politica e sindacale;

-      la Costituzione;

-      l’intervento economico e sociale dello Stato.

I sistemi elettorali partecipazione dei cittadini allo Stato

Le elezioni politiche servono per la costituzione di uno degli organi più importanti della Repubblica: il Parlamento, composto di due or­gani in posizione di parità: la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica.

Le elezioni politiche hanno la funzione di consentire la scelta di un corpo selezionato che eserciti la funzione legislativa. Esse avven­gono sulla base di modalità studiate per la trasformazione dei voti del cittadino in seggi, indicate dai sistemi elettorali.

Queste modalità possono essere scritte nelle costituzioni o de-mandate alla legge ordinaria.

La Costituzione italiana non prescrive precise regole elettorali. Essa stabilisce, agli artt. 56 e 58, il principio generale che le due Camere sono elette a suffragio universale diretto (in questo caso, suf­fragio significa voto).

Si ha suffragio universale quando tutti i cittadini che hanno capaci­tà giuridica e una determinata età possono esercitare il diritto di voto (senza limitazioni che derivano dal grado di cultura, dal sesso, dalla razza, dal livello dei propri redditi e così via).

Si ha suffragio diretto quando i cittadini che hanno diritto al voto scelgono direttamente i componenti dell’organo da eleggere.

Si ha suffragio indiretto, o elezione in doppio grado, quando i cit­tadini che hanno diritto al voto non scelgono direttamente l’organo, bensì coloro (elettori secondari) che dovranno eleggerlo.

Sono, dunque, le leggi della Repubblica, sulla base dei principi fissati dalla Costituzione, a determinare i modi (individuazione del sistema elettorale) in cui questa scelta deve avvenire.

I sistemi elettorali possono essere congegnati in due modi.

Possono tenere conto solo delle aspirazioni della maggioranza de­gli elettori (sistemi maggioritari). Possono tenere conto anche delle aspirazioni delle minoranze (sistemi proporzionali).

Nel sistema maggioritario tutti i seggi disponibili (ogni seggio equi­vale ad un membro del Parlamento) vanno al partito o ai partiti che hanno raggiunto una certa percentuale di voti o, semplicemente, il maggior numero di voti (maggioranza relativa).

Nel sistema proporzionale anche ai partiti di minoranza è riservato un certo numero di seggi. Nel sistema proporzionale puro un partito usufruisce dei seggi che ha conquistato nel corso della competizione elettorale, senza che sia necessario superare una soglia minima di voti.

Sistema proporzionale corretto. Nell’ambito di questo, va menzionato il sistema proporzionale con premio di maggioranza. In questo, il partito che ha raggiunto una certa percentuale di consensi fissata dalla legge fa scattare un premio di maggioranza che gli consente di godere di un numero di seggi superiore a quello ottenuto con le votazioni. In tal modo, il sistema proporzionale si trasforma in maggioritario18.

Il sistema maggioritario consente di avere in Parlamento uno schieramento politico omogeneo e, quindi, un più facile esercizio del­la funzione legislativa e una maggiore stabilità dei governi.

Riforma dell'Ordinamento della Repubblica

GIOVEDI` 22 GENNAIO 2004

PRESIDENTE. Senatore D’Onofrio, non vedo il senatore Bassanini, il quale peraltro e` informato. Se lo ritiene opportuno, posso sospendere la seduta per cinque minuti, in attesa dell’arrivo del relatore di minoranza.

D’ONOFRIO, relatore. Non ho difficolta` ad iniziare il mio intervento; nel caso arrivi il collega Bassanini, potra`, se lo vuole, svolgere

dopo di me la sua relazione di minoranza.

L’originario testo del Governo, il disegno di legge n. 2544, risulta significativamente modificato in Commissione, ... non si e` trattato di un testo...blindato; e`un testo che e`stato modificato piu` volte. Vedo che sta entrando il collega Bassanini, e lo saluto...

Nella relazione introduttiva in Commissione ho indicato tre questioni di fondo sulle quali il disegno di legge costituzionale del Governo interviene, a mio giudizio positivamente.

Sulla forma di governo il passaggio molto importante e` quello da un sistema in cui vige una pressoche´ integrale sovranita` parlamentare(che ha finora consentito di considerare costituzionalmente legittimo un Governo purche´ avesse una propria maggioranza nelle Camere), ad un sistema nel quale la compagine sottoposta al voto degli elettori non puo` subire modifiche rispetto alla formazione del Governo nell’ambito della legislatura.

Si tratta di una modifica costituzionale molto rilevante, che tende a fare della volonta` degli elettori il punto nevralgico nella formazione dei Governi, compresa la guida del Primo Ministro, formula quest’ultima che si preferisce rispetto a quella tradizionale di Presidente del Consiglio dei ministri.

BASSANINI, relatore di minoranza. Signor Presidente, onorevoli colleghi, la stragrande maggioranza degli italiani continua a considerare la Costituzione repubblicana come il fondamento della convivenza comune,la garanzia dei diritti e delle liberta` dei cittadini e delle loro formazioni sociali, il baluardo ancora solido della democrazia italiana. Ma questa convinzione e` fortemente condivisa soprattutto per quanto riguarda i principi fondamentali, i diritti e le liberta` della Parte I della Carta del 1947.

Quanto alla Parte II, e in specie alla disciplina della forma dello Stato e della forma di Governo, gia` oggetto di numerosi interventi riformatori negli ultimi decenni, e`viceversa convinzione diffusa ancorche´ non unanime che occorra completare la troppo lunga transizione istituzionale italiana, mediante un’opera di aggiornamento e revisione delle sue disposizioni.Anche a questo riguardo occorre certo prudenza e cautela. Come e`stato detto: le Costituzioni nascono per essere durevoli, anche se accade talora che non durino. Il compito di una Costituzione non e` quello di inseguire i mutamenti, ma di assicurare la stabilita`. La prova della «bonta`» di una Costituzione sta nella sua longevita`. Mentre rispetto alla legislazione ordinaria c’e`, per così dire, una presunzione di necessita` di continuo adeguamento, rispetto alla Costituzione vale la presunzione inversa, perche´ ad essa si richiede proprio di contenere il fluire delle leggi fissandone i limiti invalicabili.Ma anche in quest’ottica, e dunque adottando una linea di prudenza e cautela, non si puo` non riconoscere che la seconda parte della nostra Costituzione abbisogna di alcuni aggiornamenti e correzioni. Essi si rendono opportuni per completare, integrare – e, in qualche punto, correggere – la riforma dello Stato in senso federale avviata nella scorsa legislatura; per adeguare il sistema delle garanzie democratiche e costituzionali ai profondi mutamenti gia` intervenuti nella struttura del nostro sistema istituzionale; per dotare il nostro Paese di una forma di governo piu` efficace e democratica, e dunque effettivamente piu` capace di garantire partecipazione dei cittadini, rappresentativita` delle istituzioni, tempestivita` ed efficienza nell’azione di governo per la tutela degli interessi generali.Da un lato, infatti, la riforma del Titolo V sconto` fin dall’inizio la necessita` di successive integrazioni, in specie per quanto concerne la riforma del Senato, ed anche di aggiustamenti e correzioni, poiche´ nessuna riforma di grande respiro nasce perfetta dalla testa del legislatore. Dall’altro, il contesto nel quale alla Costituente furono definiti il sistema delle garanzie e la forma di Governo e`consistentemente cambiato. Sul terreno istituzionale, e` appena il caso di ricordare che la Costituente lavoro` su due presupposti: che per la legge elettorale sarebbe stato adottato un sistema proporzionale (ordine del giorno Giolitti) e che la forma dello Stato sarebbe stata unitaria e accentrata, sia pure con largo riconoscimento delle autonomie regionali e locali.

Ora, non vi e` chi non veda che l’adozione di sistemi elettorali maggioritari e di una forma di Stato ispirata al modello federale non puo` non imporre modifiche profonde del sistema delle disposizioni costituzionali relative alla forma di Governo, allo statuto dell’opposizione, alle garanzie democratiche e costituzionali

Questi nodi sono, a nostro avviso, essenzialmente tre; su tutti e tre,purtroppo, la distanza tra il progetto dell’opposizione e il testo al nostro esame e` molto forte.

Cominciamo con l’esaminare le questioni della forma di Governo e delle garanzie democratiche e costituzionali. Noi vogliamo una forte democrazia governante. Istituzioni forti sono meglio in grado di risolvere i problemi dei cittadini. Ma la forza nasce dal consenso, dalla legittimazione delle istituzioni e dalla loro capacita` di interpretare attese e domande sociali, non solo dalla loro capacita` di decidere e di attuare le decisioni prese.

Siamo dunque per un sistema che consenta agli elettori di decidere sul programma, sulla maggioranza, sul Governo del Paese e che dia alla maggioranza e al Governo gli strumenti per realizzare il programma approvato dagli elettori.

Ma, nel contempo, la Costituzione deve stabilire con chiarezza i limiti del potere della maggioranza e del Governo e i limiti della politica. La dittatura della maggioranza non e` compatibile con la democrazia.

Da Montesquieu in poi questo e` il cuore delle Costituzioni democratiche e liberali: i limiti della politica, da un lato, i limiti della maggioranza, dall’altro, sono essenziali per dare a tutti la certezza che i diritti e le liberta` di ognuno non sono minacciati, che le regole e i principi della democrazia non sono alla merce´ di chi ha vinto le elezioni.

Le regole, i diritti, le liberta` dei cittadini non sono appannaggio del vincitore: questa certezza e questa sicurezza sono il cuore della democrazia e del costituzionalismo moderno.

Presidenzialismo sul modello americano, cancellierato sul modello tedesco, premiership britannica, semipresidenzialismo francese: ciascuno di questi modelli da` forza al Governo, stabilita` alle maggioranze, legittimazione alle istituzioni, ma ciascuno prevede checks and balances, contrappesi e garanzie efficaci, argini al potere di chi ha vinto, garanzie della democraticita` del sistema e del pluralismo istituzionale.

E `vero che la democrazia e` forte se e` in grado di prendere rapidamente le decisioni necessarie. Ma lo e`se lo fa con il consenso dei cittadini,se garantisce adeguati controlli sull’esercizio del potere, se assicura un equilibrato pluralismo fra le istituzioni. Se cio` non accade, alla lunga non sapra` neppure prendere le decisioni giuste, ne´ sapra` farle rispettare.

La personalizzazione della politica e` un fatto con cui le istituzioni debbono fare i conti, non e` un valore da promuovere fino all’esasperazione.

Non basta la legittimazione elettorale per rendere democratica una forma di Governo: la storia e` ricca, ahime´, di dittatori eletti. E neppure e` vero che la concentrazione dei poteri nelle mani di un capo e`un buon principio di sociologia dell’organizzazione praticata in tutte le aziende private. Vale forse per le imprese a conduzione familiare, gestite direttamente dal proprietario, ma nelle grandi imprese si usa dividere le deleghe tra piu` amministratori o almeno sottoporle all’indirizzo e al controllo di organi collegiali.

Ci siamo dichiarati per questo disponibili a ragionare su tutti i modelli democratici a disposizione, compreso il presidenzialismo americano; non siamo disponibili invece a mischiarli insieme per dare al Capo del Governo i poteri di Bush e di Blair, senza alcuno dei contrappesi e delle garanzie proprie, in varie forme, dell’uno o dell’altro modello.

Abbiamo espresso una preferenza per il modello britannico: prevediamo di dare al Primo Ministro tutti i poteri e le prerogative che ha il Primo Ministro inglese; di consolidarli in disposizioni costituzionali; di aggiungere una norma antiribaltone per cui, se cambia sostanzialmente la maggioranza espressa dalle elezioni, si torna a votare. Ma siamo contrari ad ogni ulteriore rafforzamento dei poteri del Governo e del Primo Ministro se non si risolvono contestualmente i problemi dell’adeguamento al bipolarismo maggioritario del sistema delle garanzie democratiche e costituzionali, del pluralismo dell’informazione, dello statuto dell’opposizione, del conflitto di interessi.

Il nostro sistema costituzionale, comparato con quello delle altre grandi democrazie, presenta anomalie rilevanti innanzitutto sui terreni ora ricordati.

La legge elettorale maggioritaria e le riforme degli anni Novanta hanno gia` dato agli Esecutivi regionali, locali e nazionali poteri e strumenti piu` forti per governare, ma non hanno introdotto i checks and balances, i contrappesi propri delle altre democrazie.Proprio per questo, la nostra proposta e`dedicata in parte notevole all’adeguamento delle garanzie costituzionali e democratiche. Si apre con disposizioni sul pluralismo dell’informazione e sul conflitto di interessi; prosegue alzando a due terzi la maggioranza necessaria per modificare la Costituzione, come per esempio in Germania e negli Stati Uniti; prevedendo maggioranze qualificate per l’elezione degli organi di garanzia (Presidente della Repubblica, Presidenti delle Camere) e per modificarei Regolamenti parlamentari.

Le attuali maggioranze furono infatti previste da una Costituente che ragionava sulla base di una legge elettorale proporzionale, dove nessuno puo` raggiungere la maggioranza assoluta in Parlamento senza averla ottenuta anche nel voto degli elettori. Ma così non e`nel sistema maggioritario, dove chi vince, magari con il 40 per cento dei suffragi, puo` avere anche piu` del 55 per cento dei seggi in Parlamento.

Ancora: il nostro progetto definisce le linee di un efficace statuto dell’opposizione, assicura l’effettiva indipendenza della magistratura e delle autorita` indipendenti, potenzia il ruolo di controllo del Parlamento, sul modello britannico e americano, ripristina le condizioni per un uso efficace del referendum abrogativo, potenzia gli strumenti della democrazia partecipativa.

C’e` qualcosa di tutto cio` nel progetto al nostro esame? Praticamente nulla. Si accrescono a dismisura i poteri del Primo Ministro, neppure si sfiora il problema dei contrappesi e delle garanzie. Al contrario: si mettono le mani dei partiti della maggioranza sulla Corte costituzionale, si fa del Capo dello Stato e dei Presidenti delle Camere organi di parte, e stupisce che mentre il Ministro dell’economia propone, giustamente, una garanzia dell’imparzialita` dei membri delle Autorita` indipendenti ottenuta attraverso maggioranze qualificate nel voto parlamentare, viceversa questo lo si neghi ad organi di garanzia per eccellenza, come e` , in primo luogo, il Capo dello Stato.Come abbiamo detto, noi vogliamo una democrazia governante, siamo per dare al Primo Ministro poteri piu` forti, in qualche misura anche un po’ oltre il limite del sistema britannico.

Veniamo ora alla terza parte concernente la riforma dello Stato e del Parlamento. Siamo per completare e anche per correggere ed aggiustare,dove necessario, perche´ come dicevo nessuna riforma nasce perfetta, la riforma federale, ma secondo il modello del federalismo cooperativo e solidale senza mettere a rischio l’unita` d’Italia.

Vogliamo un federalismo che funzioni sul modello delle grandi esperienze federali straniere, dunque nella consapevolezza che il sistema federale serve per unire i diversi, per fare della diversita` una ricchezza comune – e pluribus unum – non per contrapporre, separare e dividere.

Dunque, pensiamo ad un Senato che sia il luogo del confronto democratico e dell’armonizzazione fra le ragioni della diversita` e gli interessi generali.


Il progetto di riforma in sintesi.


2.1. Articolazione e composizione del Parlamento (artt. 55 64).


Il Senato della Repubblica diventa «Senato federale* (art. 55). Viene ridotto il numero dei parlamentari: da 630 a 518 i deputati e da 315 a 252 i senatori (artt. 56 e 57)19 (1). Il numero dei deputati, non più senatori, a vita, nominati dal Presidente della Repubblica, viene limitato a 3 (art. 59). ~


Il Senato è eletto su base regionale, come già prescrive la Costituzione vigente. Rimangono invariati il numero dei senatori della Valle d'Aosta (uno) e del Molise (due), mentre il numero minimo di senatori per ciascun altra Regione passa da sette a sei.


La caratterizzazione in senso federale>> del Senato emerge dalla disposizione che prevede che i senatori siano eletti in ciascuna Regione conte8tualmente all'elezione dei Consigli regionali. Per ciascuna regione, un rappresentante del Consiglio regionale e uno del Consiglio delle autonomie locali partecipano all'attività del Senato, senza diritto di voto (art. 57).


Inoltre, si stabilisce che le deliberazioni del Senato siano valide solo se sono presenti senatori di almeno un terzo delle Regioni (art. 64).


L'eleggibilità a senatore (art. 58), nel testo originariamente proposto dal Governo, era limitata a chi avesse ricoperto cariche elettive in enti territoriali locali o regionali all'interno della Regione o fosse stato eletto senatore e deputato nella Regione stessa. In Commissione al Senato si è aggiunto, in alternativa, il criterio della residenza nella Regione (rendendo così quasi pleonastici i criteri precedenti).


La durata resta di 5 anni per la Camera, per i senatori è quella dei relativi Consigli regionali (art. 60).


2.2. Le funzioni legislative di Camera e Senato (art. 70).


Il vigente art. 70 stabilisce il sistema di bicameralismo perfetto che caratterizza il nostro ordinamento: «Lafunzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere». Il nuovo art. 70 è alquanto complesso (cfr. allegato) e si collega alla ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni di cui all'art. 117, come riformato dalla legge costituzionale n. 1/2001. In sintesi, sono definite tre modalità di svolgimento della funzione legislativa:


a) con predominanza della Camera, per le materie di legislazione esclusiva dello Stato (con le due eccezioni della determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni sociali e dell'ordinamento degli Enti locali di cui si dirà al punto e) più avanti);


b) con predominanza del Senato, per la determinazione dei principi fondamentali nelle materie di legislazione concorrente (per le quali, secondo l'art. 117 «spetta, alle Regioni la potestà legislativa, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato»);


e) esercitata collettivamente dalle due Camere per d.d.l. concernenti, tra le materie di legislazione esclusiva dello Stato, 1) la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti in tutto il territorio nazionale e 2) la legislazione elettorale, gli organi di governo e le funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane e l'ordinamento della Capitale, e, inoltre, 3) il federalismo fiscale (le materie di cui all'art. 119, che comprendono l'autonomia finanziaria di entrata e di spesa degli Enti territoriali, la perequazione delle risorse finanziarie, le risorse aggiuntive statali per promuovere sviluppo economico, coesione e solidarietà sociale, per rimuovere squilibri economici e sociali, per favorire l'effettivo esercizio dei diritti della persona), 4) l'esercizio dei poteri sostìtutivi dello Stato nei confronti degli Enti territoriali (art. 120, e. 2), 5) il sistema di elezione di Camera e Senato, 6) alcune materie per le quali la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato20 (2).


La predominanza di un ramo sull'altro (modalità sub a e b) riguarda la risoluzione di eventuali difformità di opinione. Così, per le materie di legislazione esclusiva dello Stato (modalità sub a), i d.d.l. sono esaminati dalla Camera.Dopo l'approvazione, vengono trasmessial Senato che, entro 30 giorni (15 giorni se si tratta di d.d.l. di conversione di decreti legge), può proporre modifiche su cui,la Camera decide in via definitiva. Per le materie di legislazione concorrente (modalità sub b) è prevista una procedura simmetrica, in cui la decisione definitiva è demandata al Senato. La predominanza del Senato è, tuttavia, fortemente attenuata dalla presenza di un'eccezione, che si verifica qualora il Governo ritenga che proprie modifiche, approvate dalla Camera, a un d.d.l. sottoposto al Senato siano essenziali per l'attuazione del proprio programma o per la tutela delle esigenze di cui all'art. 120 (quelle che giustificano l'esercizio dei poteri sostitutivi dello Stato nei confronti delle Regioni e degli Enti locali: mancato rispetto di norme e trattati internazionali, pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica, unità giuridica ed economica, in particolare per i livelli essenziali delle prestazioni da garantire su tutto il territorio nazionale). In questi casi, il Primo ministro, prevìa autorizzazione del. Presidente della Repubblica, può esporre al Senato le modifiche proposte dal Governo. Se il Senato non accetta tali modifiche (e ha trenta giorni di tempo per farlo), il d.d.l. viene sottratto alla competenza del Senato stesso e attribuito a quella della Camera, che decide in via definitiva (a maggioranza assoluta dei suoi componenti)21 (3).


Nelle materie in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere (modalità e), i d.d.l. vengono sempre esaminati da entrambi i rami. Tuttavia, rispetto alla situazione odierna, vi è una novità, la cui portata non è peraltro molto chiara: la possibilità di interrompere la «navetta* di un d.d.l. da un ramo all'altro con una procedura di riconciliazione. Infatti, nel caso le due Camere approvino testi diversi di un d.d.l., i Presidenti delle Camere possono convocare una Commissione mista paritetica (trenta deputati e trenta senatori, designati sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere), incaricata di proporre un testo unificato da sottoporre al voto delle due Assemblee

Su eventuali, questioni, di competenza fra le due Camere (vale a dire, sull'attribuzione.di:un particolare d.d.l., a una delle tre modalità sopra esposte) decidono i Presidenti di Camera e Senato. Essi possono deferire la decisione a un Comitato paritetico (4 deputati e 4 senatori ,designati sulla base del criterio di proporzionalità rispetto alla composizione delle due Camere). La decisione dei Presidenti o del Comitato non è sindacabile in alcuna sede» (art. 70, e, 6). Va infine segnalata l'affermazione del,principio secondo cui un disegno di legge non può contenere disposizioni relative a materie per cui si dovrebbero applicare procedimenti diversi (art. 70, e. 6).


1 2~3. Distribuzione della potestà legislativa tra Stato e Regioni (artt. 117 118).


La modifica più rilevante (la cosiddetta devolution) investe l'art. 117. Nella formulazione vigente, accan to alle nozioni di legislazione esclusiva dello Stato e di legislazione concorrente, è già presente la nozione di potestà legislativa esclusiva delle Regioni contenuto residuale (<ogni altra materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato»). Nel nuovo testo, si aggiungono in modo esplicito le seguenti quattro materie:

a) assistenza e organizzazione sanitaria;

b) organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche;

e) definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di interesse della Regione;

d) polizia amministrativa regionale e locale.

D'altro canto, alcune materie di legislazione concorrente nella Costituzione vigente vengono attribuite alla competenza esclusiva dello Stato (art. 117, e. 2): le norme generali di tutela della salute, sicurezza e qualità alimentari, la sicurezza del lavoro, l'ordinamento della capitale (5), le grandi reti strategiche di trasporto e di navigazione di interesse nazionale, l'ordinamento della comunicazione, l'ordinamento

delle professioni intellettuali, l'ordinamento sportivo nazionale, la produzione, il trasporto e la distribuzione nazionali dell'energia.


Una seconda modifica riguarda l'art. 118, che attualmente attribuisce le funzioni amministrative ai Comuni (fatto salvo il principio di sussidiarietà) e stabilisce che la legge statale disciplini forme di coordinamento tra Stato e Regioni nelle materie 1) dell'immigrazione, 2) dell'ordine pubblico e sicurezza ad esclusione della polizia amministrativa locale 3) della tutela dei beni culturali (le prime due sono materie di legislazione esclusiva dello Stato, la terza di legislazione concorrente). Nel nuovo testo si aggiungono all'eleneo: 4) le grandi reti di trasporto e navigazione di interesse nazionale (di legislazione esclusiva dello Stato) e 5) la ricerca scientifica e tecnologica (di legislazione concorrente).


Sempre nell'ambito del coordinamento tra Stato e Regioni, è di rilievo la rilevanza costituzionale attribuita alla Conferenza Stato Regioni (art. 118, e. 3) e ad altre Conferenze tra lo Stato e gli Enti territoriali <per realizzare la leale collaborazione e promuovere accordi e íntese*.


Nella Costituzione vigente, l'art. 118 afferma il principio di sussidiarietà come base della promozione da parte dello Stato e degli enti territoriali «dell'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli ed associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale». Il testo della riforma aggiunge, sempre sulla base del principio di sussidiarietà, la promozione dell'autonoma iniziativa degli enti di autonomia funzionale, dando così un fondamento costituzionale al decentramento funzionale, oltre a quello territoriale.


La novità forse più importante e, come vedremo (nel § 6), sorprendente è, comunque, quella che compare nelle disposizioni transitorie (d.d.l. costituzionale, art. 57, Federalismo fiscale e finanza statale), dove si afferma che «in nessun caso l'attribuzione dell'autonomia impositiva ai Comuni, alle Province alle Città metropolitane e alle Regioni può determinare un incremento della pressione fiscale complessiva».




1 L’organizzazione è un fenomeno complesso, in cui si rilevano i seguenti elementi:

le funzioni o compiti pubblici che debbono essere svolti;

—     il disegno organizzativo prescelto per lo svolgimento di talifunzioni

—     procedure da seguire per porre in essere i compiti;

mezzi finanziari e personali attribuiti per lo svolgimento delle fun­zioni.

Tutti questi elementi sono essenziali perché vi sia un’organizzazione: ad esempio, non si può disporre con legge lo svolgimento di funzioni, senza dire quale ufficio debba provvedervi e con quali mez­zi. Tuttavia, i vari elementi non stanno nella stessa relazione tra di loro. Infatti, disegno organizzativo, procedure e mezzi sono strumen­tali alle. funzioni, che rappresentano, in un certo senso, l’obiettivo da perseguire.

2 Un traité constitutionnel s'impose pour marquer l'étape de la fondation d'une Europe rénovée, acceptant nos frères des pays candidats, une Europe dans laquelle tous les citoyens doivent se reconnaître comme Européens, et à laquelle toutes les institutions nationales, régionales et locales doivent pouvoir participer, chacune à son niveau de responsabilité.

un «Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa»

è piu` di un normale Trattato e meno di una effettiva Costituzione. La sostanza complessa: si tratta delle norme che regolano le istituzioni, le politiche,le decisioni e il funzionamento dell’Unione, e dei princý`pi e dei valori cui si ispirano i cittadini europei.

Ma il significato storico: l’Europa si dota di un testo costituzionale nel mentre stesso che si allarga o, come si vorrebbe meglio credere, si riunifica.

L’impianto del Trattato e la maggior parte del suo contenuto quello prodotto dalla Convenzione europea che ha lavorato, sotto la guida del PresidenteVale´ry Giscard d’Estaing e dei vice Presidenti

Giuliano Amato e Jean-Luc Dehane, dal 28 febbraio 2002 al 10 luglio 2003.

Marcello Pera

Presidente del Senato della Repubblica

4 sistema elettorale italiano


1861-82. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali. Vota circa il 2% della popolazione.

1882-91. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi plurinominali. Vota circa il 7% della popolazione

1891-1919. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali.

Nel 1912 viene introdotto il suffragio universale maschile.

1919-1923. Si segue un sistema proporzionale a liste concorrenti in collegi plurinominali.

1923-45. Nel 1923 viene approvata la legge Acerbo che attribuisce i 2/3 dei seggi alla lista che ottiene il 25% dei voti (premio di maggioranza). Dopo il 1924 non si hanno più elezioni.

Nel 1939 si sopprime la Camera dei deputati, elettiva, e si costituisce la Camera dei fasci e delle corporazioni, i cui componenti non sono più eletti ma scelti tra i titolari di cariche all’interno del partito fascista e delle corporazioni.

1946-1993. Si estende il suffragio universale alle donne. Si vota seguendo un sistema proporzionale a liste concorrenti. Questo siste­ma è stato considerato, per oltre quarant’anni, un pilastro fondamen­tale dello Stato democratico.

Il sistema è stato ridisegnato nel 1993. In quell’anno, tramite re­ferendum, furono abrogate (con l’82%dei consensi), alcune norme della legge elettorale che avevano impedito, per il passato, che il Se­nato fosse eletto con il sistema maggioritario.

5 ) In modo singolare, rimane tuttavia invariato il numero complessivo dei parlamentari assegnati alla circoscrizione estero (18, ora tutti assegnati alla Camera), con un corrispondente aumento del peso relativo di questi ultimi.

6 ) Le materie in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato sono elencate con riferimento ai rispettivi articoli della Costituzione stessa: art. 117, ce. 5 e 9 (recepimento da parte delle Regioni di accordi internazionali); art. 118, ce. 2 e 5 (funzioni amministrative degli enti locali e coordinamento tra Stato e Regioni in materia di immigrazione e ordine pubblico e sicurezza); art. 122, e. 1 (principi fondamentali per le elezioni del Presidente e della Giunta delle Regioni); art. 125 (istituzione dei TAR); art. 132, e. 2 (distacco di province e comuni da una Regione); art. 133, e. 2 (istituzione di nuove province).


7 v Questo è uno dei cambiamenti più rilevanti apportati dalla Camera al testo della riforma approvato dal Senato. in quest'ultimo si prevedeva che nell'eventualità di modifiche a un d.d.l. di competenza del Senato proposte dalla Camera (e non direttamente dal Governo) e dichiarate essenziali dal Governo per l'attuazione del suo programma, si applicasse la procedura di riconciliazione tra i due rami prevista per le materie in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente (modalità e, sopra richiamata)

8 L’organizzazione è un fenomeno complesso, in cui si rilevano i seguenti elementi:

le funzioni o compiti pubblici che debbono essere svolti;

—     il disegno organizzativo prescelto per lo svolgimento di talifunzioni

—     procedure da seguire per porre in essere i compiti;

mezzi finanziari e personali attribuiti per lo svolgimento delle fun­zioni.

Tutti questi elementi sono essenziali perché vi sia un’organizzazione: ad esempio, non si può disporre con legge lo svolgimento di funzioni, senza dire quale ufficio debba provvedervi e con quali mez­zi. Tuttavia, i vari elementi non stanno nella stessa relazione tra di loro. Infatti, disegno organizzativo, procedure e mezzi sono strumen­tali alle. funzioni, che rappresentano, in un certo senso, l’obiettivo da perseguire.

9 Un traité constitutionnel s'impose pour marquer l'étape de la fondation d'une Europe rénovée, acceptant nos frères des pays candidats, une Europe dans laquelle tous les citoyens doivent se reconnaître comme Européens, et à laquelle toutes les institutions nationales, régionales et locales doivent pouvoir participer, chacune à son niveau de responsabilité.

un «Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa»

è piu` di un normale Trattato e meno di una effettiva Costituzione. La sostanza complessa: si tratta delle norme che regolano le istituzioni, le politiche,le decisioni e il funzionamento dell’Unione, e dei princý`pi e dei valori cui si ispirano i cittadini europei.

Ma il significato storico: l’Europa si dota di un testo costituzionale nel mentre stesso che si allarga o, come si vorrebbe meglio credere, si riunifica.

L’impianto del Trattato e la maggior parte del suo contenuto quello prodotto dalla Convenzione europea che ha lavorato, sotto la guida del PresidenteVale´ry Giscard d’Estaing e dei vice Presidenti

Giuliano Amato e Jean-Luc Dehane, dal 28 febbraio 2002 al 10 luglio 2003.

Marcello Pera

Presidente del Senato della Repubblica

11 sistema elettorale italiano


1861-82. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali. Vota circa il 2% della popolazione.

1882-91. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi plurinominali. Vota circa il 7% della popolazione

1891-1919. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali.

Nel 1912 viene introdotto il suffragio universale maschile.

1919-1923. Si segue un sistema proporzionale a liste concorrenti in collegi plurinominali.

1923-45. Nel 1923 viene approvata la legge Acerbo che attribuisce i 2/3 dei seggi alla lista che ottiene il 25% dei voti (premio di maggioranza). Dopo il 1924 non si hanno più elezioni.

Nel 1939 si sopprime la Camera dei deputati, elettiva, e si costituisce la Camera dei fasci e delle corporazioni, i cui componenti non sono più eletti ma scelti tra i titolari di cariche all’interno del partito fascista e delle corporazioni.

1946-1993. Si estende il suffragio universale alle donne. Si vota seguendo un sistema proporzionale a liste concorrenti. Questo siste­ma è stato considerato, per oltre quarant’anni, un pilastro fondamen­tale dello Stato democratico.

Il sistema è stato ridisegnato nel 1993. In quell’anno, tramite re­ferendum, furono abrogate (con l’82%dei consensi), alcune norme della legge elettorale che avevano impedito, per il passato, che il Se­nato fosse eletto con il sistema maggioritario.

12 ) In modo singolare, rimane tuttavia invariato il numero complessivo dei parlamentari assegnati alla circoscrizione estero (18, ora tutti assegnati alla Camera), con un corrispondente aumento del peso relativo di questi ultimi.

13 ) Le materie in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato sono elencate con riferimento ai rispettivi articoli della Costituzione stessa: art. 117, ce. 5 e 9 (recepimento da parte delle Regioni di accordi internazionali); art. 118, ce. 2 e 5 (funzioni amministrative degli enti locali e coordinamento tra Stato e Regioni in materia di immigrazione e ordine pubblico e sicurezza); art. 122, e. 1 (principi fondamentali per le elezioni del Presidente e della Giunta delle Regioni); art. 125 (istituzione dei TAR); art. 132, e. 2 (distacco di province e comuni da una Regione); art. 133, e. 2 (istituzione di nuove province).


14 v Questo è uno dei cambiamenti più rilevanti apportati dalla Camera al testo della riforma approvato dal Senato. in quest'ultimo si prevedeva che nell'eventualità di modifiche a un d.d.l. di competenza del Senato proposte dalla Camera (e non direttamente dal Governo) e dichiarate essenziali dal Governo per l'attuazione del suo programma, si applicasse la procedura di riconciliazione tra i due rami prevista per le materie in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente (modalità e, sopra richiamata)

15 L’organizzazione è un fenomeno complesso, in cui si rilevano i seguenti elementi:

le funzioni o compiti pubblici che debbono essere svolti;

—     il disegno organizzativo prescelto per lo svolgimento di talifunzioni

—     procedure da seguire per porre in essere i compiti;

mezzi finanziari e personali attribuiti per lo svolgimento delle fun­zioni.

Tutti questi elementi sono essenziali perché vi sia un’organizzazione: ad esempio, non si può disporre con legge lo svolgimento di funzioni, senza dire quale ufficio debba provvedervi e con quali mez­zi. Tuttavia, i vari elementi non stanno nella stessa relazione tra di loro. Infatti, disegno organizzativo, procedure e mezzi sono strumen­tali alle. funzioni, che rappresentano, in un certo senso, l’obiettivo da perseguire.

16 Un traité constitutionnel s'impose pour marquer l'étape de la fondation d'une Europe rénovée, acceptant nos frères des pays candidats, une Europe dans laquelle tous les citoyens doivent se reconnaître comme Européens, et à laquelle toutes les institutions nationales, régionales et locales doivent pouvoir participer, chacune à son niveau de responsabilité.

un «Trattato che adotta una Costituzione per l’Europa»

è piu` di un normale Trattato e meno di una effettiva Costituzione. La sostanza complessa: si tratta delle norme che regolano le istituzioni, le politiche,le decisioni e il funzionamento dell’Unione, e dei princý`pi e dei valori cui si ispirano i cittadini europei.

Ma il significato storico: l’Europa si dota di un testo costituzionale nel mentre stesso che si allarga o, come si vorrebbe meglio credere, si riunifica.

L’impianto del Trattato e la maggior parte del suo contenuto quello prodotto dalla Convenzione europea che ha lavorato, sotto la guida del PresidenteVale´ry Giscard d’Estaing e dei vice Presidenti

Giuliano Amato e Jean-Luc Dehane, dal 28 febbraio 2002 al 10 luglio 2003.

Marcello Pera

Presidente del Senato della Repubblica

18 sistema elettorale italiano


1861-82. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali. Vota circa il 2% della popolazione.

1882-91. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi plurinominali. Vota circa il 7% della popolazione

1891-1919. Si segue un sistema maggioritario a doppio turno in collegi uninominali.

Nel 1912 viene introdotto il suffragio universale maschile.

1919-1923. Si segue un sistema proporzionale a liste concorrenti in collegi plurinominali.

1923-45. Nel 1923 viene approvata la legge Acerbo che attribuisce i 2/3 dei seggi alla lista che ottiene il 25% dei voti (premio di maggioranza). Dopo il 1924 non si hanno più elezioni.

Nel 1939 si sopprime la Camera dei deputati, elettiva, e si costituisce la Camera dei fasci e delle corporazioni, i cui componenti non sono più eletti ma scelti tra i titolari di cariche all’interno del partito fascista e delle corporazioni.

1946-1993. Si estende il suffragio universale alle donne. Si vota seguendo un sistema proporzionale a liste concorrenti. Questo siste­ma è stato considerato, per oltre quarant’anni, un pilastro fondamen­tale dello Stato democratico.

Il sistema è stato ridisegnato nel 1993. In quell’anno, tramite re­ferendum, furono abrogate (con l’82%dei consensi), alcune norme della legge elettorale che avevano impedito, per il passato, che il Se­nato fosse eletto con il sistema maggioritario.

19 ) In modo singolare, rimane tuttavia invariato il numero complessivo dei parlamentari assegnati alla circoscrizione estero (18, ora tutti assegnati alla Camera), con un corrispondente aumento del peso relativo di questi ultimi.

20 ) Le materie in cui la Costituzione rinvia espressamente alla legge dello Stato sono elencate con riferimento ai rispettivi articoli della Costituzione stessa: art. 117, ce. 5 e 9 (recepimento da parte delle Regioni di accordi internazionali); art. 118, ce. 2 e 5 (funzioni amministrative degli enti locali e coordinamento tra Stato e Regioni in materia di immigrazione e ordine pubblico e sicurezza); art. 122, e. 1 (principi fondamentali per le elezioni del Presidente e della Giunta delle Regioni); art. 125 (istituzione dei TAR); art. 132, e. 2 (distacco di province e comuni da una Regione); art. 133, e. 2 (istituzione di nuove province).


21 v Questo è uno dei cambiamenti più rilevanti apportati dalla Camera al testo della riforma approvato dal Senato. in quest'ultimo si prevedeva che nell'eventualità di modifiche a un d.d.l. di competenza del Senato proposte dalla Camera (e non direttamente dal Governo) e dichiarate essenziali dal Governo per l'attuazione del suo programma, si applicasse la procedura di riconciliazione tra i due rami prevista per le materie in cui la funzione legislativa è esercitata collettivamente (modalità e, sopra richiamata)