7.9  I requisiti di un sistema tributario quale strumento della politica fiscale

 

In primo luogo, il sistema tributario deve essere tale da non ostacolare il conse­guimento degli obiettivi fissati dal piano o programma economico predisposto dal Governo. Ciò non presenta difficoltà insormontabili sul piano puramente logico per il fatto che la presenza di una data imposta per conseguire un obietti­vo può comprometterne un altro. Per esempio un’imposta progressiva sul reddito o sui patrimoni trasmessi mortis causa, reputata necessaria per redistribuire il reddito, può pregiudicare la formazione del risparmio e gli incentivi a produrre. Non è, questa, una difficoltà che si ponga sul piano logico, perché, essendo nel piano indicata la soluzione di compromesso tra le due finalità, il sistema tributario dovrà modellarsi in modo da rispettare la soluzione ivi data. Ma la difficoltà maggiore sorge sul piano concreto, in quanto le ricerche empiriche nel campo della finanza pubblica sono molto limitate ed estremamente difficili ad effettuarsi, specie in certi settori. Così, quelle relative alla distribuzione dell’onere fiscale in funzione del diverso tipo ed ammontare del reddito e dell’aggregato su cui vengono a gravare, alla loro ripartizione per territorio e per settore. Le analisi empiriche circa l’incidenza definitiva dei vari tributi sul prezzo dei prodotti e dei servizi sono ancora oggi largamente insoddisfacenti. L’influenza sul sistema eco­nomico, sia per quanto concerne la traslazione, che per gli ulteriori effetti, ed in particolare sugli incentivi e sulla capacità di produrre, investire e risparmiare, èun aspetto sostanzialmente oscuro e che si presta ad argomentazioni arbitrarie, senza il suffragio di adeguate ricerche empiriche. Queste, in sostanza, sono le gravi limitazioni d’ordine pratico che si riscontrano nello studio degli effetti degli strumenti fiscali.

In secondo luogo, non è opportuno sottoporre il sistema tributario a frequenti e sostanziali riforme di struttura ogni volta che le esigenze mutano, per il cambiare degli obiettivi o dell’andamento dell’economia di mercato rispetto alle previsioni iniziali. Le riforme legislative richiedono tempo, incontrano spesso resistenze for­tissime nella fase di elaborazione delle norme, correndo il rischio di deroghe e modifiche da parte del Parlamento, dove interessi coalizzati, non conformi alle esigenze del piano, possono prevalere. Le novità legislative non riescono gra­dite, in definitiva, né ai contribuenti né ai funzionari delle imposte e, pertanto. la loro attuazione pratica incontra difficoltà e ritardi inevitabili. In sostanza, l’accostamento popolare delle imposte esistenti alle scarpe vecchie cui ci si abi­tua, rispetto a quelle nuove che fanno male fino a quando si adattano, è rispon­dente alla realtà dei fatti.

Pertanto, sembra necessario che il sistema tributario venga congegnato in modo tale da permettere una manovra delle singole imposte o voci di spesa, in modo da poter “forzare” l’economia nel senso desiderato, se e quando lo si voglia, e con un’intensità variabile a seconda dei momenti, senza dover ricorrere a riforme della struttura del sistema tributario. Per consentire un’agevole manovra fiscale, si deve predisporre un sistema tributario in modo che possa esser utilizzato per qualsiasi finalità si voglia conseguire, modificando solamente alcuni elementi interni delle singole imposte, quali, ad esempio, il tasso e le detrazioni. Semprc nei limiti in cui lo strumento finanziario sia ritenuto idoneo allo scopo e sia manovrabile.

Il    problema consiste, quindi, nel creare un sistema fiscale flessibile, efficiente, aperto e coordinato.

 

Flessibile, nel senso che le singole imposte possano venir modificate rapida­mente, dando luogo a corrispondenti variazioni del gettito in modo da assicurare agevolmente l’equilibrio del reddito nazionale, e la sua stabilità. Questa flessibilità può essere determinata da fattori automatici di stabilità (built-in flexibility) cioè messi in movimento automaticamente dalle variazioni del reddito nazionale, o da strumenti discrezionali, cioè dipendenti da una decisione dall’alto, come quelli amministrativi e quindi prontamente attuabili, o quelli Iegislativi, più lenti ad agire ma più radicali negli effetti. È come se la politica di bilancio disponesse di tre diversi ordini di riserve, di varia prontezza d’impiego a seconda delle esigenze.

 

Efficiente, nel senso che devono essere sufficienti anche variazioni relativa­mente modeste dei parametri (tassi, minimi imponibili, detrazioni ecc.) che deter­minano t’ammontare di un’imposta per consentire ampie variazioni nel gettito e ripercussioni sul sistema economico sufficientemente apprezzabili. Il che richiede, in ultima analisi, la presenza di una serie di tributi a larghissima base imponibile e con tassi d’imposta relativamente ridotti.

 

Aperto, cioè articolato in modo tale da consentire, senza operare riforme di struttura, influenze sul sistema economico in qualsiasi direzione, e tali da rispon­dere agevolmente alle varie esigenze del momento. Il che richiede la coesistenza di tributi diversi: ad imposte dirette si devono afflancare imposte indirette di vari tipi. In altri termini, la struttura del sistema fiscale deve essere polivalente, nel senso di poter agire in varie direzioni, mentre la politica tributaria deve essere unitaria e coerente con il piano, nel senso che, in un certo istante, tutte le componenti del sistema devono convergere verso una sola direzione. Ora, il primo è un problema tecnico, il secondo politico.

 

I requisiti fondamentali di un sistema tributario, quelli di essere “flessibile” e “aperto”, si possono realizzare quando il sistema fiscale consiste in alcuni prelievi di tipo diverso, in modo che ciascuno di essi possa influire su di un particolare aggregato economico; quando questi prelievi sono agevolmente manovrabili in quanto la base imponibile è molto ampia, non limitata da evasioni, esenzioni o regimi speciali, che a parità d’aliquota ne riducono il gettito; quando il tributo ègeneralmente accettato come equo dalla collettività, così da ridurre le reazioni negative ad eventuali inasprimenti; e quando è di facile applicazione, per essere regolato con norme chiare, facilmente comprensibili dalla collettività.

 

Coordinato, nel senso che tutti i prelievi e le spese, a qualunque livello si riferiscano, devono muoversi nello stesso senso per conseguire le finalità deside­rate. In modo particolare è necessario un coordinamento tra la finanza statale e quella locale. Predisposto un sistema tributario aperto, flessibile e efficiente, questi requisiti si devono riferire al sistema tributario globale del Paese, a qua­lunque livello di governo ci si riferisca. Occorre, inoltre, che le decisioni di manovra nei vari sensi agiscano in ogni settore e ad ogni livello di governo, per evitare che in alcune zone o settori si verifichino forme di elusione per conside­razioni egoistiche settoriali o territoriali, compromettendo tutta la politica fi­scale. Ciò significa che l’autonomia di manovra di tutti i livelli di governo deve essere subordinata a quella del governo centrale e ad essa si deve uniformare. Questo coordinamento della politica fiscale viene a limitare sensibilmente quella che si chiama autonomia della finanza locale, almeno per quanto riguarda la politica di questi enti suscettibile di influire sugli aggregati nazionali nel senso desiderato.

 

 

         Gli elementi costitutivi di un sistema tributario razionale

 

Un sistema tributario, per presentare i requisiti ora ricordati, deve venir costituito da due imposizioni fondamentali e da altre a carattere complementare.

Le due imposizioni fondamentali sono:

 

a)   un’imposta personale sul reddito globale delle persone fisiche a carattere progressivo, ad ampia base (cioè, con minimi imponibili relativamente modesti rispetto al reddito nazionale pro-capite), in modo da assoggettare all’imposta una notevole base imponibile con un tasso progressivo, senza però che nè il tasso marginale nè quello medio sui redditi maggiori superino i livelli oltre i quali i disincentivi si fanno rilevanti. Tale imposta non solo assicura una certa progressività al sistema del prelievo, contribuendo alla redistribuzione dei red­diti, ma consente di variare il potere d’acquisto della collettività senza incidere sui costi di produzione delle imprese, prestandosi come strumento per una poli­tica di stabilità.

Tale imposta, nelle economie più avanzate, deve trovare un necessario com­plemento nell’imposta sulle persone giuridiche, per evitare salti nel pagamento dei tributi. L’imposta sulle persone giuridiche, in quanto colpisce le imprese costituite in forma di società di capitali, attraverso una discriminazione fiscale tra reddito distribuito e quello accantonato, consente di manovrare la propensione ai rispar­mio della collettività e, di riflesso, quella agli investimenti.

Se si vuoi fare una politica dei redditi, per correggere la distribuzione del reddito nazionale tra le varie componenti, può essere necessaria anche la presenza di un’imposizione reale con tassi discriminati a seconda del tipo di reddito, che possano venir manovrati a seconda delle esigenze della politica dei redditi, o un’imposta sul patrimonio. L’imposta personale progressiva, infatti, ha solo una funzione indiretta sulla qualificazione dei consumi privati, in quanto questi deri­vino dall’effetto d’imitazione;

b) un’imposta generale sui consumi, che può anche venir riscossa in fasi pre­cedenti a quella dell’acquisto di beni da parte del consumatore finale, ma che comunque abbia la possibilità di discriminare nell’ultimo stadio i tassi d’imposi­zione a seconda della natura del bene consumato. La manovra di questa imposta generale sui consumi può influire in modo diretto sulla propensione al consumo, ma, se con tassi discriminati, può consentire nello stesso tempo di attuare la pro­gressività del sistema tributario e di dimensionare i singoli consumi in funzione di una politica pianificata per creare volutamente distorsioni da un settore economico ad un altro.

A fianco di queste due colonne fondamentali del sistema tributario, taluni obiettivi della politica finanziaria si possono conseguire anche con l’ausilio di altri tributi particolari, quali l’imposta sulle successioni (per quanto concerne la distri­buzione dei patrimoni), le imposte su particolari consumi (per una migliore quali­ficazione nella destinazione del reddito tra i vari consumi) ecc.

Infine, le finanze degli enti locali devono trarre il loro gettito essenzialmente da contributi statali per spese correnti o in conto capitale o, in misura più limitata, da partecipazioni a proventi statali e, infine, da un impiego limitato ma sufficiente, di tributi locali autonomi, allo scopo di poter subordinare o coordinare anche le finanze degli enti minori con la politica finanziaria dello Stato.